Domenica scorsa, 19 novembre, si è votato in Cile per eleggere il Presidente della Repubblica e il risultato sorprendente di questo primo turno è stato completamente ignorato dai media italiani. Triste segnale dei tempi che corrono. Dopo quattro anni di governo di centrosinistra, i favori dei pronostici andavano tutti ai conservatori, a riconferma del fatto che anche oltre le Ande avrebbe ripreso a soffiare forte il vento della destra globale. I cosiddetti sondaggisti accreditavano tutti, senza eccezioni, una vittoria schiacciante di Sebastian Piñera, già presidente dal 2010 al 2014, con riproposizione trionfante delle classiche ricette neo-liberiste da parte del ricco imprenditore folgorato dalla politica. Mai pronostici furono così clamorosamente smentiti. Infatti, si dovrebbe sempre tener presente – e il più delle volte lo si dimentica anche da noi – che i sondaggi elettorali sono come il profumo: vanno annusati, ma non bevuti. Nel primo caso fanno bene, nel secondo caso sono perniciosi. In breve: Piñera, accreditato attorno al 45% dei consensi, raccoglie un modesto 36% e il centro-sinistra vede riapparire all’orizzonte una possibile vittoria al secondo turno, considerata assai improbabile sino a qualche giorno fa. Come nelle aspettative, infatti, il candidato della Nueva Mayoria di centrosinistra, il giornalista Alejandro Guiller, non raccoglie più del 23% dei voti, ma a questa débâcle dell’alleanza che ha governato prevalentemente il Cile dopo la caduta di Pinochet ha fatto riscontro la sorprendente affermazione del Frente Amplio, una nuova aggregazione di sinistra, che ha conquistato il 20% dei consensi alla sua prima prova elettorale. Nelle ultime ore volano in Cile accuse roventi contro gli istituti demoscopici per aver così clamorosamente fallito, ivi compreso il sospetto di truffa. Il grave condizionamento del gioco elettorale democratico si evidenzia nella previsione dell’8% attribuita a Beatriz Sánchez, la candidata delle sinistre, la quale, sorprendentemente, con il 20% dei voti ottenuti (2 volte e mezzo in più di quelli previsti dai sondaggi) si colloca invece come protagonista del secondo turno, previsto per il 17 dicembre.
Il Frente Amplio, che riecheggia nel nome e nelle aspirazioni l’alleanza vincente nelle ultime elezioni uruguayane (compreso Pepe Mujica), è l’erede del movimento studentesco che fece parlare di sé negli scorsi anni. I suoi dirigenti sono talmente giovani che per candidare un ultra-35enne, come previsto dalla Costituzione, hanno dovuto far ricorso ad una sorta di front-woman, la celebre giornalista Beatriz Sánchez. Non si tratta, come a volte viene commentato in qualche organo di stampa internazionale, della Podemos delle Ande, dato che nel Frente confluiscono vari gruppi ancora carenti di amalgama, ma di certo rappresenta la grande novità delle elezioni cilene: una risposta di sano radicalismo alle carenze dei governi di centrosinistra (senza trattino) e al rischio di un ritorno delle destre. Ma non solo questo. I più autorevoli commentatori evidenziano anche l’aspettativa per un profondo rinnovamento da parte dell’elettorato, non solo interessato alla crescita economica, ma anche a una rigenerazione della politica, nei suoi protagonisti, negli stili e nel linguaggio.
Altra novità significativa di queste elezioni è stata l’affermazione di una forza di ultra-destra nostalgica del Pinochetismo, guidata da José Antonio Kast, che sicuramente offrirà i suoi voti (8%) a Sebastian Piñera nel secondo turno. Infine, è interessante evidenziare che la decomposizione della vecchia Concertaciòn di centrosinistra (frutto del patto democratico anti-Pinochet che univa le sinistre ai democristiani) ha definitivamente sepolto il tradizionale bipolarismo che ha caratterizzato il Cile degli ultimi trenta anni. Da un lato ciò ha prodotto il risultato storicamente più deludente per gli eredi (in piccolo) della Concertación, ossia Nueva Mayoria (23%), ma dall’altro – oltre al Frente Amplio – la presenza sulla scena di altre due formazioni al 6% dei consensi, i neo-democristiani di Carolina Goic e i progressisti di Marco Enriquez-Ominami, rendono la scena politica cilena complessa come non mai. Sulla carta, i voti di Guiller, uniti a quelli di Sánchez ed Enriquez-Onimani, danno circa il 49% dei voti, mentre quelli delle destre raggiungono un totale del 44%, ma la politica delle alleanze è ancora tutta da reinventare in Cile e ogni previsione per il secondo turno sarebbe del tutto azzardata. In ogni caso, mutatis mutandis, viene dal paese andino qualche segnale di assoluto interesse anche per noi, da annusare, ovviamente, non da bere.