La storia ha sempre prodotto vittime, impersonate dagli ultimi di una lunga catena di sofferenze, di disagio e di sfruttamento spesso disumano. Sono i lavoratori delle grandi fabbriche, o i precari vittime della flessibilità. Sono i periferici, i marginali, i perseguitati. Sono le donne che vivono condizioni di frustrazione, sottomissione, anche violenza. Ma spesso, più radicalmente, sono i diseredati senza più una famiglia o un Paese. Che si tramutano in senza confini, in nomadi, e si muovono, migrano e il più delle volte fuggono le guerre, la fame, gli incubi della loro esistenza personale. Un cosmopolitismo di gente in fuga, non di ceti riflessivi. Che sono vittime anche nella fuga. La storia delle civiltà è storia di migrazioni: lente, progressive, inarrestabili, testarde, spesso drammatiche. Come branchi le donne e gli uomini si spostano a milioni, segnando la strada (le terre, i mari) di morti anche giovanissimi. Sono i momenti in cui milioni di progetti di vita svaniscono, e conta solo la sopravvivenza. Sono esistenze che sciamano, puntano i Paesi occidentali, mentre c’è chi si oppone ai flussi e fa barriera, perché tenta di sopravvivere anch’egli a uno stato di vero o presunto benessere, oppure si ritiene minacciato nel proprio lavoro, nello status sociale, nella propria sicurezza personale da quelle esistenze dannate.
La sinistra, nella sua controversa e complessa esistenza, è (quasi) sempre stata dalla parte degli ultimi e degli oppressi. Non in astratto, ma con la mutualità, la solidarietà, una rete associativa, i sindacati, i partiti, esercitando una faticosa mediazione politica in mezzo al proprio popolo. Spesso anche in aperta controversia con certe parti di esso. Il punto è che vivere queste contraddizioni, affrontarle, è possibile soltanto con la politica, i partiti, la cultura, le mediazioni, l’autorità istituzionale. Senza di questo, tutto si riduce a raccogliere il grido di protesta dei ‘territori’, delle popolazioni ‘locali’ e a farlo proprio indiscriminatamente, contrapponendo gli ultimi agli ultimi, quelli che affondano nel Mediterraneo contro quelli che affondano a causa della crisi oppure nutrono paure esagerate. Potremmo anzi dire che questa contrapposizione è proprio il frutto della inesistenza di un partito (o di partiti) della sinistra, che ha condotto alla diffusa illusione di governare i processi sociali e le sue crisi semplicemente riproducendole su scala politica, secondo la logica basica della fotocopiatrice. Di qui l’allarme di chi vede nei migranti una minaccia verso la classe operaia. Di chi solleva problemi di sovranità nazionale dinanzi all’arrivo dei barconi. Di chi teme di perdere i consensi dei propri elettori locali, spaventati dall’estrema povertà e da quella ‘quasi-vita’ che galleggia testardamente sulle acque del Mediterraneo.
Che il populismo produca mostri, eccone la testimonianza. Le vittime sono trasformate quasi in carnefici: sono loro che attentano allo status sociale e ribaltano le nostre sicurezze, non le terribili condizioni di vita da cui provengono, peraltro prodotte da politiche di sfruttamento e coloniali. Il populismo, compreso quello di sinistra, infrange ogni mediazione, riduce la politica a un rapporto tra Capo e popolo, trasforma quest’ultimo in una ‘sostanza’, cancella la mediazione, il contraddittorio, la rappresentanza democratica, il conflitto regolato dal panorama politico. I migranti sono posti fuori contesto, di loro resta solo il carattere metafisico di ‘minaccia’ verso il popolo, concepito come chi esprime consenso, ‘elegge’ i Capi e li legittima. Il popolo è, in fondo, quello che ‘comanda’, che esprime giudizi incontrovertibili anche se sono frutto della paura oppure esprime interessi non mediati e unilaterali. Poco male che da ciò derivino pessime strategie politiche, la totale involuzione di una parte della sinistra, l’idea che la politica si riduca a dire ‘sì’ a una ‘sostanza’ popolare in cambio di voti. Si tratterebbe solo di insipienza. Peggio quando si arriva a esprimere giudizi dove le vittime (di un sistema geopolitico, socioeconomico, dello sfruttamento) spariscono, inghiottite non solo dal mare, ma anche da inverecondi giudizi politici. Non scompare solo la sinistra, la sua attitudine a stare dalla parte degli ultimi, la sua caratteristica solidaristica e mutualistica, ma l’umanità stessa, travolta da pessime ideologie al servizio di pessime analisi. Ancora una volta sul più debole si scarica la forza e il rancore di tutto il resto. È la conferma di una costante storica, che si ripete instancabilmente, e di una crisi che è culturale, di umanità, ancor prima che politica.