Non leggeremo le motivazioni della sentenza del tribunale di Roma che tra qualche mese. Le condanne sono molto pesanti. Buzzi e Carminati sono stati ritenuti responsabili di reati gravissimi. I romani e i cittadini tutti saranno al riparo per parecchio tempo. La procura diretta da Giuseppe Pignatone non esce sconfitta da questa lotta processuale.
Su un punto però il tribunale pare aver sbagliato. Non riconosce l’esistenza di un’associazione mafiosa.
Vale la pena ricordare che l’articolo 416-bis del codice penale, voluto da Pio La Torre ed entrato in vigore solo nel 1982 dopo l’assassinio suo, di Rosario Di Salvo e poi di Carlo Alberto Dalla Chiesa e di sua moglie Emanuela Setti Carraro, dice che un’associazione è mafiosa quando si avvale della forza intimidatrice del vincolo associativo e ottiene l’effetto dell’assoggettamento omertoso.
Ebbene, arrestato con misura cautelare nel 2014, Buzzi era andato in Cassazione per ottenere l’annullamento di quell’arresto cautelare. La Cassazione aveva risposto picche con una sentenza del 9 giugno 2015.
Nelle motivazioni di quella sentenza si leggeva, tra l’altro che ai sodali di Buzzi “si affiancavano imprenditori consapevoli del passato criminale del Carminati e della forza di intimidazione e penetrazione esercitata dal gruppo anche in ambienti politico-amministrativi. In tal senso, il Tribunale del riesame ha menzionato i casi di taluni imprenditori operanti nel settore dell’edilizia (ad esempio C. G., nei cui confronti il Cal. ha svolto per alcuni mesi una funzione di “protezione”), in quello della ristorazione (G. l.), nonché in quelli del “movimento terra” e della gestione di appalti di vario tipo, come, ad es., quelli relativi alla manutenzione ed ampliamento dei prefabbricati nel campo nomadi di Castel Romano (A. Ga.), dei quali più avanti si dirà. […] I Giudici di merito hanno poi ampiamente sottolineato l’effetto di sconvolgimento degli equilibri interni all’ambiente delle società interessate a partecipare alle gare d’appalto, in ragione delle prevaricazioni subite allorquando fra i concorrenti figuravano le società cooperative del Buzzi. […] Un ulteriore profilo di gravità della base indiziaria sull’intimidazione, anch’esso oggetto di apprezzamento da parte del tribunale del riesame, investe la natura e la rilevante estensione dei rapporti che il sodalizio in esame ha intrattenuto con esponenti di altre organizzazioni criminali di stampo mafioso operanti in Roma e nel resto d’Italia. Secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito, infatti, il gruppo del Carminati risulta aver avuto contatti significativi, fra l’altro, con il “clan” dei fratelli Senese, con il “clan Casamonica, con Ernesto Diotallevi – esponente della cd. “banda della Magliana” e tramite del sodalizio con la mafia siciliana di Pippo Calò – nonché con l’organizzazione facente capo ai fratelli Esposito e con Giovanni De Carlo, a sua volta in rapporti con gli esponenti della criminalità organizzata romana […]Ritiene dunque la Corte che la realtà criminale prefigurata dall’art. 416-bis, comma 3, c.p., non sia certo costituita da un modello oleografico di associazione mafiosa, ma presupponga una entità organizzativa formata soprattutto “… per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri…“: siffatta enumerazione, per la sua ampiezza, finisce con il ricomprendere ogni forma di penetrazione dell’associazione nel mondo economico (pubblico e privato) caratterizzata dall’uso di metodi mafiosi, sia che essa abbia ad oggetto coloro che già esercitano l’attività della quale viene acquisita la gestione o il controllo, sia che riguardi i possibili concorrenti ovvero i soggetti pubblici investiti di poteri decisionali in merito alle concessioni, autorizzazioni ecc. I tratti della figura delittuosa descritta dal legislatore nel terzo comma dell’art. 416-bis c.p. delineano, pertanto, una chiara strumentalità del fine di controllo amministrativo rispetto a quello di controllo economico, presupponendo l’utilizzo di strumenti societari e di forze imprenditoriali da impiegare per conseguire quella forma di controllo attraverso la captazione delle risorse pubbliche e la distorsione dei liberi meccanismi concorrenziali.”.
Insomma, due anni fa la Cassazione parrebbe aver proprio ravvisato il carattere mafioso del duo Buzzi-Carminati. Del resto, dal dibattimento appena concluso sembra sia emerso che quest’ultimo, per avere la sua parte di guadagni dal lavoro delle cooperative di Buzzi, non prestasse alcun lavoro o servizio. Bastava che si menzionasse il suo nome.
E’ ben vero che la sentenza del tribunale arriva dopo un contradditorio vero e proprio, che in sede cautelare non c’era stato. Ma le motivazioni dovranno essere davvero molto persuasive per dimostrarci che ci eravamo sbagliati.
Già, perché a Roma, a Ostia e nel Lazio la mafia c’è eccome. Non vorremmo che si dicesse che nel processo Mondo di mezzo era “solo” corruzione. Il procuratore nazionale antimafia ha detto 1000 volte che la mafia oggi uccide di meno e corrompe di più. Né davvero vorremmo che si dicesse, come già fanno i 5 Stelle, che – mafia o non mafia – alla “gente” non interessa, sono delinquenti lo stesso.
Niente affatto: se non è mafia cambia molto. Ma non ci fidiamo per niente che sia così.
P.S. Per parlare delle condanne a carico dei “politici” del fu PdL e del Pd ci sarà modo e tempo.