Una serata calda, afosa, molto simile a quelle di questi giorni, 22 anni fa, precisamente il 6 luglio. Ore 21, nella Basilica di San Martino, alla spalle di via Zamboni, nei pressi della zona universitaria, si svolge il concerto inaugurale del restauro di uno dei più importanti organi di Bologna. Costruito dal ferrarese Giovanni Cipri nel 1556. Cassa d’organo tagliata l’anno successivo dal bolognese Giacomo Marcoaldi. Il restauro iniziato nel 1979, curato e seguito dal professor Oscar Mischiati (gran personaggio, colto e laicissimo, prematuramente scomparso), affidato a Franz Zanin, discendente di una delle più antiche famiglie di organari di Camino al Tagliamento (Udine).
Chi desideri immergersi in approfondimenti, non senza qualche interessante sorpresa, può tuttora consultare il volume uscito sotto il titolo San Martino Maggiore cuore antico di Bologna, per l’impulso di padre Augusto Tollon, a cura di Elena Tartari e Carlo Vietti. Promotori del concerto: l’Associazione per l’antico organo di San Martino, Bologna Festival, l’allora Assessorato alla Cultura della Provincia di Bologna.
Le musiche di quella serata: di Giovanni Gabrieli, Giulio Segni, Girolamo Frescobaldi, Tarquinio Merula, Bernardo Pasquini e Francesco Correa De Arauxo. Organista, lui: il maestro Luigi Ferdinando Tagliavini. Nato a Bologna e formatosi presso i Conservatori di Bologna e Parigi; studente all’Università di Padova. Alle spalle un’intensa attività concertistica in tutto il mondo. Professore ordinario di Musicologia all’Università di Friburgo, in Svizzera, docente di numerose Accademie.
Medaglia d’oro come benemerito della cultura, nel 1974, per volontà del Ministero della Pubblica Istruzione. Un’autorità, nel campo della cultura organaria, che, come poche altre, ha rappresentato il nostro Paese nel mondo della cultura musicale. Che ha contribuito a portare alla ribalta un piccolo ma significativo primato del contesto bolognese: l’esser dotato di qualcosa come 330 organi antichi.
Basta consultare i programmi della rassegna Organi antichi: un patrimonio da ascoltare, per opera del maestro Andrea Macinanti, per rendersene conto. Per ricordare come un tempo il luogo di culto fosse concepito anche come un ambiente estetico, nel senso più alto del termine, in un insieme di sollecitazioni architettoniche, artistiche, pittoriche e musicali.
Giustamente l’Università degli Studi di Bologna ha voluto riconoscere il rilievo di questo tratto dell’identità musicale conferendo al maestro Luigi Ferdinando Tagliavini la laurea ad honorem in Discipline dell’Arte della Musica e dello Spettacolo, con una solenne cerimonia che si svolse nella Sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio nell’anno 2000, quando Bologna poté dirsi città europea della cultura, sottolineando, così, il legame di Tagliavini con Bologna e il debito di Bologna nei suoi confronti.
Ma il maestro Luigi Ferdinando Tagliavini era anche un singolare collezionista. Amava le testimonianze del tempo e nel tempo ha raccolto un patrimonio di strumenti musicali pressoché unico nel suo genere: circa 70 tra clavicembali, clavicordi, spinette, pianoforti, insieme ad organi, a fiati e a strumenti automatici dal Cinquecento al Novecento, donato, poi, a Genus Bononiae e curato dal maestro Liuwe Tamminga.
Parafrasando il titolo di un saggio di Walter Benjamin, si potrebbe dire: Luigi Ferdinando Tagliavini, il musicista e il collezionista. Il contrario di chi accumula. Colui che persegue un disegno: conferire alla quantità, se possibile, un’anima. Affidandosi all’esercizio dell’arte divinatoria, egli “usa la propria passione come la bacchetta del rabdomante”. Ecco: Luigi Ferdinando Tagliavini rientra anche nella tipologia dei grande collezionisti descritta da Benjamin: quella di coloro “intenti a perseguire programmaticamente un loro progetto, risolutamente votati a un’unica causa”.