Come appare privo di senso ascrivere alla sinistra, esterna ed interna al Pd, le ragioni della sconfitta alle ultime amministrative, così sarebbe miope non sentirsi preoccupati dalle difficoltà manifestate dal Partito Democratico in questa tornata elettorale a fronte di un ritorno della destra e di un astensionismo ormai a livelli francesi.
Il quadro che ne esce, sul versante riformatore, è quello di un centrosinistra privo di un baricentro e alla ricerca di un’anima. Una situazione che rende quantomai opportuna l’iniziativa intrapresa da Giuliano Pisapia per favorire la nascita di un progetto e di una lista che esprima l’unità della sinistra, e sappia costruire una proposta di governo di centrosinistra modulata sulle priorità dell’attuale fase storica e in discontinuità con il passato. Questo costituisce il presupposto per poter parlare a quei mondi che dalle scorse elezioni del 2013 ad oggi hanno visto deluse le loro attese e ai tanti che nel contempo hanno visto ulteriormente peggiorare le loro condizioni di vita. C’è un’Italia “normale”, oltre quella pur consistente delle nuove povertà, disorientata e impoverita alla ricerca di un riferimento politico affidabile e capace di dischiudere degli squarci di speranza. Alla quale la definizione del perimetro progressista appare condizione necessaria, ma allo stesso tempo, da sola non sufficiente, per poter riannodare un rapporto di fiducia. Perché si tratta di quella parte del Paese che è rimasta più esposta, e indifesa, agli effetti della crisi e delle politiche austeritarie che hanno accentuato la crisi, anziché contribuire a contrastarla.
Una forza progressista deve sentire davanti a sé la grande responsabilità di declinare un programma che manifesti una discontinuità con le scelte della sinistra di governo degli ultimi decenni, sull’esempio di Sanders negli Stati Uniti e di Corbyn nel Regno Unito. Semplificando, ma neanche troppo, oggi vige un socialismo alla rovescia: i meccanismi di redistribuzione della ricchezza non hanno mai funzionato così bene, ma agiscono nel verso sbagliato. Tolgono il necessario a chi lavora e produce, a chi crea la società del futuro, le famiglie, a chi gestisce i beni comuni, al settore pubblico, per dare a chi ha già moltissimo attraverso marchingegni della finanza complessi da raccontare quanto semplicissimi da decifrare nella loro reale funzione sperequativa.
Se è vero che punti qualificanti di un programma progressista sono il lavoro, lo stato sociale, la riduzione delle disuguaglianze, è altrettanto vero che occorre indicare dove si reperiscono le risorse necessarie ad attuarlo. Bisogna essere franchi con l’elettorato: un poderoso sistema di creazione di debito privato su scala globale che fagocita, come un buco nero, gran parte della ricchezza prodotta, non si smonta facilmente. Ma si deve iniziare a farlo, già dalla prossima legislatura e su scala europea, insieme a tutte quelle forze che lo riconoscono come una priorità e come presupposto ineludibile per politiche espansive. Perché al netto di tutte le criticità (quali economia sommersa, corruzione, elusione fiscale) siamo un Paese economicamente sano che da decenni, come ha riconosciuto l’Fmi, attua una politica di bilancio più rigorosa della Germania, con un migliore avanzo primario. Ma che è caduto in una spirale deflattiva causata dal circolo vizioso austerità – tagli agli investimenti e al welfare – conseguente aumento del debito – altra austerità. Occorre un nuovo approccio al tema del debito pubblico perché appare del tutto irrealistico l’obiettivo di ridurlo attraverso la sola crescita, peraltro quasi impercettibile e lontanissima dai livelli che potrebbero consentire una riduzione del debito. È l’asino che rincorre la carota. Non si può consentire che il Paese cada stremato di fronte a strategie che non tengono in nessun conto la sostenibilità sociale e la stessa tenuta dell’ordinamento democratico. La politica deve potersi riappropriare delle politiche economiche e finanziarie come presupposto per poter attuare un disegno di sviluppo e di maggiore giustizia sociale. Precisamente il cuore di un programma progressista e ciò che ne determina la credibilità agli occhi degli elettori.