Il governo e il Parlamento sono nel pieno delle loro funzioni, a noi non resta altro che svolgere un’opposizione vera, cercando di costruire un’egemonia culturale nel Paese che possa essere alternativa quella di una destra reazionaria, eversiva e liberticida.
Tutto questo dovrà partire dal congresso del Partito democratico, il quale non dovrà individuare un leader, bensì una leadership che sia sintesi di una linea politica, cioè che sappia costruire e interpretare una prospettiva a lungo raggio, immaginando una nuova cultura politica.
“Cultura politica” è un termine bellissimo che dovrebbe rappresentare un’idea di mondo; purtroppo il Pd non è riuscito a costruirla, anzi la fusione fra le due culture, quella post-democristiana e quella post-comunista, ha finito per annullarle a vicenda, rendendo il partito una scatola chiusa, che assomiglia di più a un insieme di comitati elettorali che alla casa di una comunità che si immagina in una prospettiva comune.
Bisogna dire però che al partito e alla sinistra in generale in questi anni sono mancate figure importanti come il sindacato, il quale non è riuscito a rappresentare le istanze dei lavoratori, un intellettuale organico che dovrebbe aiutare nella costruzione di una prospettiva coerente e sono mancate, soprattutto, le classi dirigenti.
Infatti, il Pd ha vissuto un imbarbarimento della sua classe dirigente, premiando le “affiliazioni” piuttosto che i risultati, rafforzando le correnti a discapito dei diversi territori e impedendo la formazione di nuove classi dirigenti, come abbiamo visto negli ultimi anni.
In tutto questo si è proseguito con l’esaltazione del modello del “migliore” (non parlo di Togliatti, ndr), della cultura del merito come gioco all’esclusione, la rincorsa al capitalismo e di un ambientalismo finto. Questo ha provocato una sconfitta culturale, manifestatasi nelle urne lo scorso 25 settembre.
Non dobbiamo però dimenticare alcuni aspetti importanti che possono aiutarci a immaginare una prospettiva positiva di questo congresso costituente: innanzitutto il Partito democratico conserva la struttura tipica di quella che Lelio Basso disegnò all’articolo 49 della Costituzione, ovvero una struttura vera, composta dalle sezioni e dalla federazioni. Questo è un patrimonio che va ripreso e rimesso in moto, perché bisogna ripartire ridando un calore alle cose e ai segni che contraddistinguono la nostra storia.
Articolo Uno fa bene a partecipare a questo congresso e a vedere una direzione comune, perché adesso possiamo realizzare l’aspirazione per la quale siamo nati, ovvero quella di essere una sinistra radicale e di governo, che possa ricostruire il rapporto con le persone costruendo una visione che si fondi su poche parole chiare: lavoro, istruzione e lotta al capitalismo e alle disuguaglianze. Proprio su questo ultimo punto è bene ribadire a noi stessi che non si può scendere a patti con un qualcosa che si fonda sull’egoismo come fonte di arricchimento personale, bensì la nostra prospettiva deve abbracciare una messa in discussione della finanza come perfetto modello economico e nell’abbattimento delle disuguaglianze l’obbiettivo da raggiungere.
In questo prospettiva Articolo Uno può rilanciare la collocazione del Pd nell’alveo della socialismo democratico ed europeo. Necessariamente questo potrebbe provocare il ritorno di quello che D’Alema definisce come “il trattino fra centro e sinistra”, cioè una nuova scissione, in cui l’ala di destra del partito si ricongiungerebbe con il suo leader naturale, un’altra si ricollocherebbe (come ha già fatto) e l’ala cosiddetta di “minoranza” troverebbe finalmente una collocazione di sinistra.
Tutto questo deve passare per un crisi che scuola il sistema, ma del resto l’insegnava Antonio Gramsci che “la crisi non è altro che il momento in cui il vecchio muore per fare spazio al nuovo”.