Ho seguito tutta la direzione ultima del Pd. Molto meglio della precedente. La scelta fatta di aprire una fase costituente per un nuovo Pd mi pare saggia. Oltre che inevitabile. Al solito i commentatori, in testa Mieli, mi scuso per la ruvidità del linguaggio, hanno capito poco o niente. Ma l’importante che nella fase costituente ci si faccia capire dagli elettori.
Un nuovo partito della sinistra è storicamente necessario perché il Pd è stato un partito contemporaneo solo per un paio d’anni. Dal 2008 in avanti non c’è stata la capacità e la prontezza di entrare in sintonia con la crisi della globalizzazione, di interpretare il tempo nuovo. Insomma, di cambiare strada senza cambiare campo. Come fu capace di fare il partito nuovo di Togliatti.
Il punto di massima distanza dalla contemporaneità è stato raggiunto dal Pd di Renzi, con un blairismo ancora più moderato, e fuori tempo, dell’originale. A provocare il disastro è stata la vittoria nella partita amichevole delle europee dove per una congiunzione astrale gli elettori hanno votato Pd nonostante Renzi, Renzi nonostante il Pd e i 5 stelle fecero una delirante campagna elettorale. Da lì ha preso le mosse il tentativo di modificare geneticamente il più grande partito della sinistra.
In fondo la nostra scissione, che giustamente Bersani definisce una espulsione, non è stata altro che una scommessa per fermare quella deriva e rifondare il centrosinistra. Controvento. A piedi nudi. Non ce l’abbiamo ancora fatta e allora bisogna, anche noi, assumere le decisioni conseguenti. Dando atto al gruppo dirigente, a cui, in un gioco al massacro che piace ad alcuni di noi, si tenta di imputare responsabilità più grandi di quelle reali, ma che su questo punto è stato sempre di una onestà politica cristallina.
Comunque per tornare al filo principale, il disallineamento del Pd rispetto al tempo, inteso come Kronos, ha avuto come conseguenza drammatica la rottura politica e sentimentale con il suo popolo. Sostanzialmente perduto. Tutti i dati elettorali sono lì a dimostrarlo. L’altra faccia della medaglia è stata la perdita di capacità coalizionale, surrogata dalla vocazione maggioritaria e da una politica orientata al bipartitismo, quando il quadro si frammentava. A chiudere il cerchio, poi, l’identificazione con il governo, anche per ragioni nobili di responsabilità nazionale, per cui il Pd, nel senso comune, è diventato il partito del potere.
Se tutto questo è vero, la scelta di una costituente per un nuovo Pd è il minimo sindacale. E davvero mi inquieta quella parte del partito che, per non voler tagliare i nodi gordiani, si preoccupa per i tempi lunghi. Quando se c’è una cosa che abbiamo è il tempo. In questo caso come Kairos. L’occasione per uscire da una traiettoria che può portare a una prospettiva greca o francese.
La prossima direzione nazionale di Articolo Uno discuterà sulla nostra partecipazione alla costituente. Per parte mia credo non ci siano alternative. Ma noi non dobbiamo approcciarci come quelli che vengono chiamati (la prima fase). No. Noi dobbiamo essere coloro che anch’essi chiamano la sinistra fuori dai partiti, la sinistra sociale, quel mondo cattolico portatore di un radicalismo sociale inedito, l’associazionismo e i singoli. Essere insomma, con umiltà e senza Hybris, protagonisti. Attori che devono suscitare passione in tanta parte di una sinistra disamorata. Perché se siamo a questo tornante qualche merito ce l’abbiamo anche noi.
Decisiva sarà la fase che porta all’approvazione del nuovo manifesto dei valori, che dovrà ridefinire profilo e identità. Un manifesto che deve essere il primo passo per superare l’altro limite del Pd: la coesistenza di identità diverse che si sono, in molti passaggi, elise a vicenda.
Certamente qualche perplessità continua a lasciare la conferma delle primarie che rischiano di vanificare tutto il percorso. Ma dalla terza fase potrebbe uscire la mossa del cavallo.
Per concludere, non bisogna dare già per scontato l’esito positivo del processo, ma con un po’ di pessimismo dell’intelligenza, che aiuta ad andare in profondità, e tanto ottimismo della volontà, che aiuta ad allargare la cerchia dei costituenti, arriveremo a Rodi e si salterà.
PS In molte/i compagne/i lascia l’amaro in bocca il fatto che non sembra in discussione il nome e il simbolo. Vorrei ricordare loro che, senza cambiare nome, il Partito comunista d’Italia del ’26 (Lione) era una cosa diversissima da quello nato a Livorno, così come il partito nuovo di Togliatti era ancora più diverso. Quello strano animale che non doveva esistere e invece c’era.