Nel centenario della marcia su Roma, la destra conservatrice vince le elezioni politiche, ma più che un curioso parallelismo storico sembrerebbe uno scherzo della storia, visto che questa vittoria avviene a ridosso dell’anniversario delle quattro giornate di Napoli, ovvero quando i nazifascisti vennero cacciati dai napoletani.
Quello che però emerge in modo chiaro è che la destra non crea egemonia nel Paese, anzi si sviluppa piuttosto il principio dei vasi comunicanti poiché il partito di Giorgia Meloni recupera voti dai partner di coalizione, in particolar modo dalla Lega.
Il vero disastro, semmai, avviene nella sinistra, che in voti assoluti riesce a fare peggio del 2018: questo perché il Partito Democratico non viene percepito più da nessuno come un partito nemmeno vagamente di sinistra. Ciò significa, in soldoni, che stavolta la questione non potrà risolversi con il solito invito alla responsabilità e mettendo in fila davanti ai gazebo i militanti e i simpatizzanti.
Questa volta non si potrà ripartire dai nomi, ma occorre una larga discussione – che includa Articolo Uno, Demos, Sinistra Italia, Possibile, Europa Verde e MoVimento 5 Stelle – volta a costituire un nuovo soggetto politico con un’identità fondata sul socialismo democratico, sul netto rifiuto del capitalismo come modello economico, sulla difesa dei diritti fondamentali della persona come il lavoro, la salute e l’eguaglianza.
Bisogna avviare quel processo che Antonio Gramsci avrebbe definito come la nascita di una nuova egemonia culturale che guardi ai bisogni delle persone, che sappia intercettare la loro rabbia e canalizzarla in una visione più larga che guardi ad una società nuova che vada a costituire quello che Erich Fromm definì con il termine “umanesimo socialista”, ovvero una società che fa collimare la libertà personale con lo sviluppo di una coscienza collettiva che ripudi il conformismo capitalista.
La transizione ecologica è il punto di partenza da cui far sviluppare tutto il resto, e bisogna essere chiari nell’affermare che non si accettano compromessi sulla lotta al cambiamento climatico, così come non si possono più ammettere ambiguità o posizioni equidistanti rispetto al regionalismo differenziato, perché siamo una Repubblica, unica ed indivisibile.
Non occorre tanto una costituente per un nuovo PD, ma una costituente della sinistra che metta il lavoro al primo posto, la riforma del sistema fiscale in modo progressivo, la democratizzazione dell’Unione Europea; un partito che affronti davvero la questione femminile senza cadere nel cliché di dover spazio ad una donna in quanto tale, ma affrontandola in maniera radicale: ovvero guardando alle capacità.
Ovviamente questo soggetto non potrà essere il Partito Democratico e ne tanto meno tutto ciò che si trova a sinistra di esso, perché bisogna ricomporre le fratture degli ultimi anni, evitando che si cada negli errori del passato, cioè nella somma delle percentuali, bensì bisogna azzerare tutto e ripartire, altrimenti il superuomo di Nietzsche oltre che la morte di Dio, dovrà accettare anche la fine della sinistra italiana.