Quando ho saputo dell’improvvisa scomparsa di Salvatore mi è venuto spontaneo chiedermi da quanto tempo ci conoscevamo. La risposta è stata: più di 50 anni, una vita intera.
Le nostre sono state per certi aspetti due vite parallele: quasi coetanei (lui di alcuni anni più grande), aspiranti economisti prima (lui assistente di Sylos Labini, io di Cesare Cosciani), professori poi; studi in Inghilterra e nel mio caso anche in America; lui esperto di economia internazionale, io di scienza delle finanze.
Ambedue impegnati in politica fin da giovanissimi, ambedue iscritti al Psi, poi abbandonato dopo la nascita del Psiup, e ritorno alla politica negli anni ’70 come indipendenti che collaboravano con il Cespe, il centro di studi economici del Pci.
Salvatore era un economista quotato e stimato, uno di quelli considerati “bravi”; diventato professore ordinario andò a insegnare all’Università di Modena dove era stata creata una facoltà di Economia per così dire orientata a sinistra e guidata da giovani economisti di formazione keynesiana o post-marxista (sraffiana). Salvatore diede un impulso molto importante alla nuova facoltà che operava integrata nel territorio e in un clima politico strettamente socialdemocratico .
E un socialdemocratico in senso stretto è rimasto Salvatore per tutta la sua vita. Mentre molti colleghi, e anche alcuni suoi amici stretti, subivano l’attrazione delle analisi degli economisti neo liberisti e delle loro ricette, Salvatore è sempre rimasto saldamente convinto della necessità di una economia regolata, con forte presenza pubblica, un ruolo importante dei sindacati eccetera, ma sempre ben ancorata al principio di realtà, al rigore di bilancio, alla efficienza delle imprese pubbliche, senza mai indulgere al lassismo economico, e men che mai alle posizioni ideologiche di non pochi del seguaci italiani di Piero Sraffa.
Un socialdemocratico, appunto, consapevole delle enormi capacità produttive e di progresso del sistema capitalistico, ma anche della inevitabilità dei suoi eccessi, se non controllato adeguatamente, in termini di instabilità economica, crescita sistematica delle diseguaglianze, uso scriteriato delle risorse naturali, inquinamento. Una posizione che negli ultimi anni ha ritrovato una sua legittimità, anche se il neoliberismo è duro a morire. Del resto Keynes diceva che gli uomini politici di solito sono schiavi di qualche economista defunto.
Salvatore era inoltre il solo tra noi capace di tradurre in pratica, operando sul mercati finanziari, le sue conoscenze economiche. Leggendarie sono rimaste le sue incursioni in borsa in almeno due fasi di boom delle quotazioni, con guadagni non trascurabili .
Nel 1983 il Pci decise di rafforzare i gruppi della Sinistra Indipendente sia alla Camera che al Senato, cooptando alcuni giovani economisti. Salvatore era uno di questi, ma dopo essersi consultato con Gerardo Chiaromonte, cui era molto legato, fu decisa di soprassedere dato che Salvatore aveva grandi possibilità di essere chiamato come professore a Roma nella sua Facoltà di origine, Statistica, come poi avvenne. Entrammo quindi allora in Parlamento io e Filippo Cavazzuti, ma Salvatore avrebbe dovuto farci compagnia.
Alcuni anni dopo, nel 1991, Salvatore fu nominato Presidente del Cespe, non senza qualche difficoltà e opposizione in quanto economista, keynesiano, ma non marxista, e quindi tendenzialmente “di destra” e pericoloso.
Fu quella una stagione innovatrice, dinamica e di grandissima qualità e utilità.
Si trattava di formulare un programma di governo credibile, rispettoso delle compatibilità economiche, moderno, consapevole del problemi reali dell’economia italiana, senza pregiudizi ideologici, operando di fatto una vera discontinuità rispetto alla tradizione comunista. Ci furono quindi decine di incontri, tutti organizzati da Salvatore, su tutti gli argomenti rilevanti, dalle politiche macroeconomiche, all’occupazione, la sanità, la contrattazione, il pubblico impiego, le privatizzazioni, il diritto societario e finanziario eccetera.
Di tutti questi incontri Salvatore stese un resoconto dettagliato, ed essi rappresentano ancora oggi un lascito prezioso perché furono una delle basi su cui operò il Governo Prodi alcuni anni dopo.
Nel 1994 Biasco lasciò la presidenza del Cespe che fu assunta da Reichlin, mentre il direttivo venne rinnovato con l’ingresso di economisti della generazione successiva alla nostra, quali De Vincenti, Messori, Padoan, Nicola Rossi, alcuni dei quali approdati più tardi su posizioni scientifiche e politiche distanti da quelle strettamente socialdemocratiche di Salvatore, che non nascondeva la sua sorpresa e disappunto in proposito.
Nel 1996 finalmente Salvatore approdò in Parlamento, alla Camera, dove purtroppo rimase una sola legislatura. La sua mancata ricandidatura rappresenta a mio avviso un chiaro indizione della deriva dil chiusura e burocratizzazione imboccata dal gruppo dirigente del nuovo Pds.
Nel 1996 era nato il Governo Prodi. Per la prima volta la sinistra post comunista andava al governo con i cattolici di sinistra, con forti motivazioni e ambizioni.
Salvatore era membro della Commissione Finanze e fu nominato presidente della Commissione bicamerale dei 30, incaricata di esaminare i decreti delegati della riforma fiscale che porta il mio nome e che ridisegnava l’intero sistema tributario italiano. Salvatore fu bravissimo, insostituibile: attento, efficiente, autorevole, facilitò decisamente l’approvazione senza traumi degli oltre 20 decreti delegati in un contesto di grande conflittualità politica su un argomento fortemente divisivo come il fisco. In sostanza, Salvatore diventò un esperto fiscale, in particolare di tassazione societaria e non a caso qualche anno più tardi (nel 2007, secondo Governo Prodi) gli affidai la presidenza di una commissione di esperti che produsse il “Libro Bianco sulla tassazione delle società” che riassumeva gli orientamenti del governo in proposito.
Negli ultimi anni i suoi interessi e i suoi impegni si sono concentrati soprattutto sulla riflessione politica e sulla organizzazione del dibattito politico, scrivendo diversi libri che hanno avuto notevole risalto in un’epoca in cui il pensiero di ispirazione socialista sembrava trovare poco spazio.
In questo contesto ha costituito un network di studiosi; economisti, sociologi, politologi, filosofi, intitolato “Ripensare la cultura politica della sinistra”, che ha prodotto alcuni documenti di grande interesse. L’ultima riunione del gruppo era prevista per il prossimo 29 settembre.
Salvatore Biasco lascia un grande vuoto non solo per la famiglia, la moglie Valeria e i figli Alessandro e Ludovico, ma anche per i suoi amici, e per quanti lo hanno conosciuto apprezzando la sua cultura, la sua integrità, la sua coerenza culturale e politica, il suo impegno, la sua capacità di resistere alle mode e andare contro corrente, la sua capacità di organizzare uomini, eventi e pensieri. Ci mancherà molto.