La prospettiva di una prossima definitiva approvazione della legge sulla cittadinanza non può che trovare consenso in tutte quelle esperienze associative e di volontariato di ispirazione cattolica, nelle innumerevoli iniziative delle parrocchie e della Caritas per l’accoglienza dei migranti e per l’integrazione di coloro che ormai da molto tempo vivono e lavorano nel nostro Paese o addirittura vi sono nati. Dare un orizzonte certo alle seconde generazioni di migranti, attraverso l’introduzione dello Ius soli, costituiva infatti una delle ragioni prioritarie della campagna intrapresa alcuni anni fa “l’Italia sono anch’io”, fra i cui promotori figurano molte sigle del mondo cattolico. Ed anche se l’attuale testo in discussione non recepisce integralmente gli obiettivi della suddetta campagna, esso rappresenta in ogni caso una tappa storica verso un concetto di cittadinanza più adeguato alle necessità del nostro tempo. La società civile ha svolto bene il proprio ruolo, che è quello di organizzare e dare dignità politica alle istanze delle persone, dei più deboli soprattutto.
Dal suo canto la Chiesa ha preso una posizione di vicinanza “a chi è nella necessità, nella debolezza e a chi ha bisogno di essere protetto” con le recenti parole del segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ribadite dal sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu. Posizioni, peraltro, che non fanno che riflettere la linea del pontificato di papa Francesco, di incessante appello all’accoglienza, alla solidarietà, alla cessazione delle guerre e al superamento delle ingiustizie.
Anche la politica è chiamata ad assumersi le proprie responsabilità, le quali non sono uguali a quelle della cittadinanza attiva e neanche a quelle delle autorità religiose, i cui interventi vanno sempre visti alla luce della principale preoccupazione che li ispira, la salvezza eterna delle anime. L’ambito specifico del politico è invece quello del bene comune, realizzabile in un dato momento storico. Quindi alla luce di una approfondita valutazione degli elementi, la legge sullo Ius soli costituisce un passo importante verso un modello di società più inclusivo. Non tralasciando tutto ciò che implica questa scelta, e più in generale la gestione del complesso problema dell’immigrazione. Affinché l’introduzione dello Ius soli possa dare i risultati sperati in termini di integrazione, la politica dovrà, nel contempo, saper dare altre risposte. Essere capace di garantire un lavoro dignitoso e tutelato, sia a coloro che affrontano rischiosi viaggi della speranza per trovarlo, sia ai tanti italiani che lo cercano. Perché troppo spesso la luce su chi è stato salvato in mare e portato in Italia, si spegne quando questi diventa preda di caporali, viene “internato” in luoghi di lavoro abusivi, viene utilizzato, anche da cooperative che si dicono “sociali”, come merce remunerata sottocosto. Inoltre la politica deve reperire adeguate risorse per l’integrazione, perché i migranti non sono “cose” che si possono affastellare in alcuni quartieri periferici destinati a divenire ghetti, ma persone che necessitano di mediatori culturali, di cure, di istruzione, di servizi degni di questo nome.
Infine, ma non per ultimo, la responsabilità politica deve saper guardare alle cause per le quali i flussi migratori paiono fuori controllo e preda di loschi affari criminali, nonché strumento di spregiudicate strategie geopolitiche. Abbiamo attorno a noi interi popoli devastati non da calamità naturali ma da piani di guerra che sono stati orditi in alcune delle principali capitali occidentali. Dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, la cosiddetta “lotta globale al terrorismo” è stata l’olocausto del XXI secolo. Dobbiamo volgere lo sguardo anche sulle nostre contraddizioni, sui troppi errori dei nostri alleati, che in questi anni hanno assai disturbato la tradizionale linea italiana di costruzione di ponti fra Mediterraneo ed Europa. Occorre approvare lo Ius soli, pensando ad Enrico Mattei.