Forum donne Veneto: il cartello di Asiago fa emergere un problema culturale

Veneto

Un cartello assolutamente fuori luogo, a partire da quel “libero da impegni familiari” che purtroppo non ha scandalizzato tutte e tutti”. Il cartello rimane affisso alla vetrina del noto negozio, per almeno 3 anni, prima che si scateni tutto il putiferio che ha portato infine alla sanzione. Un primo messaggio è chiaro: “Io pago, quindi ho diritto di…”, che evidenzia una concezione medievale del lavoro e della persona.

Il cartello contestato è ben in evidenza: non è che non si faccia nulla, le autorità locali, a più riprese, cercano e ne sollecitano la rimozione, ma non in modo efficace. E crediamo che il suddetto cartello abbia suscitato anche un bel po’ di mal di pancia, almeno tra le fasce più -permetteteci la parola- evolute della popolazione. Ma tant’è, il cartello rimane lì. Neppure la sanzione di 7mila euro da parte dell’ispettorato del lavoro, arrivata solo dopo la segnalazione di una turista, è riuscita a scalfire la granitica posizione dei proprietari del negozio che utilizzano le vetrine come una sorta di tribunale e un curioso modo di comunicare. A tratti, nel raccontare la vicenda, si riesce pure ad immaginare una sorta di composizione artistica: da una parte i cartelloni bianche con un certo messaggio, ovvero la minaccia di denunciare chi si è permesso di dire qualcosa contro il “pensiero supremo” dei proprietari, nelle altre vetrine, dall’altra parte, i cartelloni rossi di ringraziamento, per chi, invece, quel pensiero lo ha, implicitamente o esplicitamente, sostenuto.

Crediamo che quanto successo, offra molti spunti su cui riflettere, come l’accesso al mondo del lavoro delle donne, ma anche il conservare un posto di lavoro, perché sono tanti modi di licenziare senza licenziare e rimanendo dentro alle regole. Fino a pochi anni fa, in Veneto era usanza usare la parola “paron”, il padrone, e credo che nessun veneto abbia mai compreso cosa fino in fondo che cosa sia stato l’uso di questa parola negli anni e di come a volte il linguaggio plasmi la vita e sia più reale di molti altri fatti che succedono. Crediamo che quanto successo, multa compresa, non abbia minimamente inciso sulla mentalità che ha portato a produrre un cartello del genere. Molte sono le osservazioni che si possono e si devono fare, ma forse è necessario trovare un punto di partenza e un punto di osservazione, per provare a mettere qualche contorno più definito anche alla questione di genere.

Premettiamo che prima di scrivere queste poche righe, ci era venuta l’idea di realizzare una sorta di intervista agli uomini di nostra conoscenza. Ci pareva anche una bella idea, se non che, man mano che andavamo avanti, ci siamo accorte che continuavamo a scartare le persone a cui chiedere… a questo no, a quest’altro neanche posso chiedere un parere perché ciascuno con il suo bel bagaglio di vita giustificata, buone motivazioni e un buon carico da 11 di delusione da buttare sul piatto, probabilmente non avrebbe condannato il cartello. Il pensiero predominate era: poteva scriverlo in un altro modo o semplicemente poteva non scriverlo e fare lo stesso. Ecco, crediamo sia questo uno dei punti su cui maggiormente riflettere: quanto sia endemica nella nostra società la trasparenza della “vittima”, quanta poca voce abbia chi subisce l’azione di un’altra persona, quanto poco ci si curi del prossimo e quanto poco i problemi dei singoli diventino i problemi di una società o i problemi di tutti.

Crediamo sia un problema culturale e di modelli a cui finora si è attinto, oltre che di strumenti che le persone possiedono (o più spesso non possiedono) per uscire da questa impasse. Il modello culturale è qualcosa che abbiamo ereditato, a volte di malavoglia, di cui nonostante i proclami non è facile liberarsi. Quello che possiamo dare noi sono gli strumenti per aumentare la consapevolezza delle persone.

Condividiamo con voi questo nostro pensiero o meglio, questa domanda aperta: la legislazione è più avanti della consapevolezza e della legge “naturale” degli uomini? Le regole per la parità di genere ci sono, quello che manca è il fatto che chi le deve applicare, chi ha delle posizioni di potere, ci creda veramente e le applichi. Manca la consapevolezza che una società più giusta è una ricchezza e che è anche la carta vincente dal punto di vista economico. Usiamo a bella posta il presente indicativo e non il condizionale o il futuro, auspicando che questo modo di pensare diventi realtà. Un’economia felice è una delle più grandi utopie tradite del nostro secolo, che è stato capace di svuotare le grandi categorie filosofiche con cui provare a dare alternative ad un capitalismo spietato.

Quante di noi hanno vissuto in prima persona la fatica di entrare (e stare) nel mondo del lavoro conciliando le varie dimensioni della vita familiare! È impensabile che questa società così evoluta, che pensa a costruire nuovi mondi su Marte, non possa avere una gestione del tempo vita più solidale. È impensabile che, oggi, tutto questo continui a cadere sulle spalle delle donne, ancora più sole, ancora più vittime di pregiudizi, ancora parte debole della gestione del potere, ancora più appesantite da fardelli che non hanno scelto di portare e da un modello di società improntato su valori maschili e patriarcali.

Quanto successo ad Asiago, non è un problema di soldi, ma, appunto, di gestione del potere che continuare a dare nuova linfa ad una mentalità atavica. Eppure, la cultura non è un abito che si mette e si toglie a proprio piacimento. Abbiamo, passo dopo passo, fatto tante conquiste e conquistato “cose inimmaginabili”: crediamo che vicende come questa, diffuse più di quello che pensiamo e che vengono a galla solo per caso e a volte, ci debbano aiutare a focalizzare la direzione verso cui stiamo andando. Al di là del rumore mediatico che si crea di volta in volta, fatti come questi ci dicono chi siamo davvero in questo momento, quali sono i nostri obiettivi e quali indicatori abbiamo per capire se siamo sulla strada giusta per disegnare una società che risponda più dignitosamente al cuore umano.

 

Forum Donne – Articolo Uno Veneto

Referente: Delizia Catrini

 

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