Primo dicembre duemilaventuno. Oggi finiscono 56 anni di storia della fabbrica di lavatrici di via Argine 310 a Napoli. Con essa finisce un’era industriale, finisce un modo di fare imprenditoria, finisce un modo di fare sindacato e finisce un modo di lavorare.
Finisce un’era industriale perché dal 1964 nella zona industriale di Napoli, quando venne aperta era una delle fabbriche più all’avanguardia per la produzione di lavatrici e impiegava 1200 lavoratori. Dal 1964 quella fabbrica è diventata simbolo di eccellenza ed efficienza pluripremiata da società indipendenti che constatavano, anno dopo anno, le evoluzioni verso l’alto della qualità dei prodotti fabbricati. Con la chiusura del sito di Napoli si perde l’ultimo grande insediamento industriale della città ed un altro presidio di legalità.
Finisce un modo di fare imprenditoria perché sono finiti gli imprenditori, quelle persone come il Cavaliere del lavoro dottor Borghi, fondatore della Ignis Sud, che aveva, come tutti gli imprenditori di quel periodo, una visione che andava al di là del solo profitto; essi avevano l’idea che il lavoro dovesse avere una funzione sociale oltre che di sostentamento economico e hanno dato, così, la possibilità alle future generazioni di crescere ed avere un futuro migliore dei genitori. Il famoso ascensore sociale. Oggi esistono, invece, al posto di quegli imprenditori, gruppi finanziari gestiti da mercenari che della funzione sociale del lavoro non ne hanno mai sentito parlare, essi considerano il lavoro e, quindi, i lavoratori merce da sfruttare e spostare al solo scopo di lucro lasciandosi alle spalle macerie, desertificazioni e drammi sociali.
Finisce un modo di fare sindacato perché nel periodo degli imprenditori come il dottor Borghi c’era la possibilità di interloquire con il “Padrone”: loro erano i punti di riferimento con cui discutere per migliorare le condizioni dei lavoratori. Certo, bisogna aggiungere la presenza di una parte politica attenta alle richieste degli operai pronta a farli diventare diritti. Oggi il sindacato non sa neanche chi è il “Padrone” con cui parlare, le multinazionali sono scatole cinesi in cui nessuno ha una responsabilità diretta sulle scelte che si fanno e paradossalmente si corre il rischio assurdo che il maggiore azionista di una azienda sia un pensionato che sta pescando trote in qualche fiume del Michigan. Certo bisogna aggiungere la quasi totale assenza di quella politica attenta alle richieste dei lavoratori. Solo Articolo Uno si è differenziato.
Finisce un modo di lavorare perché l’idea della stabilità della sicurezza economica, della programmazione del futuro è stato sostituita da precarietà e sfruttamento, in alcuni casi addirittura schiavitù. Oggi i lavoratori non guardano più al futuro con speranza ma hanno la speranza che esista un oggi.
Questo primo dicembre duemilaventuno per noi ex lavoratori Whirlpool è un giorno triste che a caldo non dà speranze, ma se ragioniamo a freddo ci dà la consapevolezza che dopo 33 manifestazioni a Roma, blocchi stradali, presidi alla Regione Campania e alla prefettura di Napoli, abbiamo portato a casa una speranza, quella di un consorzio che dovrebbe assumere tutti i lavoratori della ex Whirlpool nel sito di via Argine 310. Di questo il governo si è fatto garante. La lettera di licenziamento, arrivata i primi giorni di Novembre, ci chiedeva di scegliere entro il 30 novembre 2021 se prendere una buonuscita come compensazione dei sacrifici fatti nei precedenti 10 anni (avendo lavorato in regime di solidarietà per 6 ore al giorno 3 giorni alla settimana) oppure andare a Varese che è la sede centrale della multinazionale. Il 98% dei lavoratori di Napoli ha scelto di restare per non abbandonare la propria terra, che ha bisogno di colmare le differenze tra nord e sud, non certo di amplificarle. Noi per questo continueremo a lottare fino a quando i cancelli della nostra fabbrica non saranno riaperti e tutti i lavoratori ex Whirlpool siano rientrati al lavoro.
L’unica cosa che in questo primo dicembre duemila ventuno non è finita è la nostra tenacia e la consapevolezza di lasciare un mondo migliore ai nostri figli rispetto a quello che abbiamo trovato noi perché chi combatte può anche perdere ma chi non combatte ha già perso.
Napoli non molla.