Quando ci siamo messe a pensare, nel Forum donne, quali fossero i temi che ci interessasse affrontare, tra quelli indiscutibilmente prioritari c’erano il lavoro femminile e la salute delle donne. E parlando di salute, con uno sguardo memore delle passate battaglie femministe, abbiamo rintracciato due affermazioni “vincenti”: costruire un’alleanza tra le donne e indagare su quali risposte venivano date alla specificità femminile da parte della medicina e come e se incidessero sulle diseguaglianze.
Convinte che un’alleanza si possa costruire su obiettivi concreti e specifici e non solo su scenari strategici, trasportando qui una delle lezioni di Esther Duflo, abbiamo iniziato un confronto che ci ha portato a collaborare non solo col Forum donne del Pd, ma con le associazioni di donne più rappresentative in città, con le donne del M5s, con le donne dei Verdi (e non solo sul tema della salute).
L’impatto con la pandemia ha reso evidente che la forbice delle disuguaglianze si è ancor più allargata, lasciando i pochi ricchi sempre più ricchi e creando tante nuove povertà. Le donne, le più povere tra tutti, e quelle con minore accesso alle opportunità. Questo si leggeva subito nell’enorme crisi della cura che era derivata dal crollo del lavoro femminile e delle attività di caring, ma rischiava di mettere in ombra che le diseguaglianze partivano anche da prima, e che una diseguaglianza di fondo segnava l’accesso alla salute per le donne.
Abbiamo così scelto di fare un’operazione culturale di diffusione delle conoscenze sulla medicina gender oriented, che nonostante sia stata ufficialmente riconosciuta e sia contenuto di legge, non ha però portato a una necessaria ricaduta sulle prassi mediche e, purtroppo, è del tutto sconosciuta alla collettività.
Eppure si tratta di un problema di equità nella cura.
Da alcuni anni, grazie allo sguardo lungo di alcune esperte, si è affermata la consapevolezza che “le donne e gli uomini non sono uguali di fronte alla malattia e alla cura”.
Il riscontro è stato dato dalla pratica clinica delle specialità delle mediche che hanno affermato e difeso una medicina diversa per donne e uomini: dalla cardiologia alla gastroenterologia, dalla medicina di laboratorio alla ginecologia, dalla farmacologia alla sperimentazione di dispositivi medici.
Il modello maschile, da sempre ritenuto “universale”, nella medicina come in ogni altro campo del sapere e dell’agire, in realtà non rispondeva affatto alle esigenze di cura delle donne, che spesso non ricevevano trattamenti adeguati, con rischio anche della vita per alcune malattie specifiche.
Le donne e gli uomini sono diversi e la conseguenza diventa che diverso deve essere l’approccio sanitario, dalla prevenzione alla diagnosi alla cura alla riabilitazione. In questo modo sottraendo al dominio maschile una relazione vitale tra la donna e il suo corpo, che chiede interventi diversi.
Nel 2018 in Italia è passata la legge che riconosce la medicina della differenza e nel 2019 si pubblica il Piano per la sua applicazione e diffusione, con le ovvie ricadute nei piani regionali.
Per usare le parole stesse del Ministero della Salute in un suo Quaderno “Per garantire alle donne e agli uomini la tutela del proprio benessere e il miglior approccio clinico, diagnostico e terapeutico non si può non ritenere determinante la medicina di genere”.
Si evince però, dal confronto con le realtà degli ambulatori e delle corsie degli ospedali che, anche se a volte conosciute, le specificità di questo modo di intendere la medicina non si traducono poi in una pratica costante.
Da qui la nostra decisione.
Abbiamo realizzato tre seminari, con un buonissimo indice di ascolto: il primo per far conoscere la medicina della differenza, il secondo per confrontarci con gli attori istituzionali, l’ultimo su un documento progettuale che abbiamo poi ampliato tenendo conto dei suggerimenti che ci sono stati proposti.
I nostri target: l’ambiente universitario, ed in particolare le studentesse e gli studenti delle facoltà di Medicina, Ostetricia e Infermieristica; la medicina di territorio, cioè le mediche e i medici “di famiglia”; le studentesse e gli studenti degli ultimi due anni delle scuole superiori.
E adesso cerchiamo di capire come sostenere anche finanziariamente le azioni che secondo noi vanno intraprese.