Nel Recovery plan sono previste misure di aiuto all’acquisto di case per abitazione da parte dei giovani per permettere loro di mettere su famiglia; se in linea di massima l’intenzione è lodevole, l’approccio ancora una volta pare strabico nel senso che il diritto alla casa non può e non dovrebbe essere sempre coniugato nel senso del volano economico, ma inteso come diritto sociale e bisogno umano, come diritto ad abitare, non tanto ad avere una casa in proprietà.
Se i risparmi delle generazioni precedenti, i tfr e quanto si è riusciti a mettere da parte fossero indirizzati verso iniziative produttive o verso il compimento e l’ampliamento degli studi di figli e nipoti ne guadagnerebbe e di molto l’intera società e anche la sua economia, senza necessità di tradurre sempre tutto in un’ottica di patrimonio privato.
Il diritto ad abitare deve essere inteso come parte del bene comune e non come accumulazione di patrimonio privato.
Nel nostro Paese ci sono milioni di metri cubi di immobili che da anni sono vuoti e che spesso sono in via di deterioramento mentre la domanda di abitare sale; e molto spesso per incapacità, per mancanza di un piano organico e di risorse le regioni e gli enti locali non riescono a dare risposte adeguate.
Facilitare l’accesso ai mutui bancari, defiscalizzare i passaggi di proprietà e gli acquisti del nuovo sono misure che inevitabilmente spingono ad un ulteriore consumo di suolo senza risolvere la questione del vuoto completamente inutilizzato che tanto spazio ha soprattutto nelle grandi città.
Il settore edilizio può avere una spinta non indifferente dalle necessarie ristrutturazioni dell’inutilizzato per convertire in luoghi abitabili le migliaia di palazzi “per uffici” che nelle metropoli restano vuoti e inutilizzati da anni così come gli immobili delle varie agenzie regionali per l’edilizia residenziale spesso lasciati decadere.
È davvero una questione di approccio, di visione dello sviluppo possibile che tenga conto dell’impatto ambientale e della necessità di rendere sociale la domanda dell’abitare piuttosto che indurre ad un “capitalismo” dei poveri.
Le vere svolte green passano dalla coniugazione della rigenerazione ambientale con i diritti sociali e non può esserci altra strada se davvero si vuole dare un senso al cambiamento che è urgente mettere in pratica.
La questione dell’abitare è solo uno degli aspetti, ma ha un grande impatto e affrontarlo per il verso giusto ha una ricaduta significativa per tanti aspetti della vita e dello sviluppo di una società che è chiamata a voltare pagina nei fatti concreti e non solo nei proclami.