La realtà descritta dall’inchiesta della Procura milanese non può sorprendere chi conosce le enormi storture del mercato del lavoro favorite da leggi che hanno legittimato la precarietà come condizione “normale” per milioni di lavoratrici e di lavoratori in diversi settori produttivi.
Rimane, però, una sensazione terribile, come un pugno nello stomaco.
In una chat di rider è stata trovata una radiografia con una gamba rotta e il commento sotto “e adesso come faccio a lavorare?”.
La magistratura, nel suo comunicato, invita a non usare il termine schiavi per non far scadere la discussione su un piano moralistico e ci ricorda che, nonostante molti di questi lavoratori siano stranieri, la stragrande maggioranza di essi sia perfettamente in regola. Sono cioè cittadini a tutti gli effetti e, come tali, hanno diritto al rispetto dei propri diritti.
Articolo Uno condivide del tutto questo punto di vista. Cittadini e non schiavi, indipendentemente dalla nazionalità.
La Procura ha chiesto l’assunzione di 60000 persone dimostrando, attraverso controlli capillari che questi lavoratori non sono autonomi. Essi, questa è la tesi della Procura, sono lavoratori subordinati gestiti in forma anonima, ma niente affatto neutra, da un algoritmo.
Inoltre le quattro aziende coinvolte (Just eat, Uber eats, Glovo e Deliveroo) hanno ricevuto delle ammende per non aver rispettato le norme su salute e sicurezza. Tali ammende ammontano a 733 milioni di euro.
Sono decisioni storiche.
Oltre alla gioia per la vittoria e l’affermazione dei diritti di così tante persone, c’è anche un sentimento amaro. Per troppo tempo la politica, le parti sociali, i media hanno chiuso occhi e orecchie per non vedere la realtà di sfruttamento e non sentire il grido di dolore della parte più debole del lavoro.
Sono sempre più numerose le aziende che sottoscrivono i contratti con sigle sindacali prive di consenso e di credibilità, nate molto spesso al solo scopo di firmare accordi vergognosi. Ormai in tutta Italia siamo vicini a 1000 contratti. Una cifra inaudita che rappresenta un attacco molto grave alla tenuta sociale del Paese perché mina alla radice la credibilità della contrattazione e l’esigibilità dei diritti sociali fondamentali.
Certo non siamo tutti uguali: alcune forze politiche e sociali, Articolo Uno tra queste, hanno denunciato analoghe situazioni in tante città e ha seguito indagini analoghe in altre procure del Paese.
Non possiamo negare, però, che finora il racconto dominante è stato un altro. Un racconto che ha permesso di trattare dei lavoratori in un modo inaudito. Da oggi non è più possibile e questo è un bene.
Crediamo che la politica abbia molto da farsi perdonare in questo senso. Si potrebbe cominciare, utilizzando i 90 giorni che la magistratura ha concesso alle aziende per assumere 60000 dipendenti, approvando con la massima urgenza una legge sulla rappresentanza sindacale e il salario minimo e rivedendo la normativa sulla salute e la sicurezza sul lavoro.
Su entrambi questi temi ci sono proposte di legge, sono state fatte audizioni, sono state sentite le parti sociali. C’è un buon lavoro che si può portare a termine con un rapido confronto con i partiti, sindacati e aziende.
90 giorni sono tanti. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, anzi a continuare a fare la nostra parte. Quella del lavoro. Uno slogan riuscito di qualche anno fa recitava “Se non ora quando?”.
Lo ha dichiarato Piero Latino, responsabile nazionale Lavoro di Articolo Uno.