Per chi guarda il mondo da sinistra il governo che verrà sarà inevitabilmente peggiore del precedente. E questo nulla ha a che vedere con la qualità e la statura delle personalità in campo, a cominciare da quella del Presidente del Consiglio. Sarà un governo dal baricentro più spostato a destra. E questo, di per sé, rappresenta inequivocabilmente un passo indietro.
D’altra parte, la natura del Conte II, della maggioranza che lo sosteneva e del progetto politico alla sua base, è stata una delle cause della sua fine. L’alleanza tra progressisti e Cinque stelle ha ricucito il filo con il sindacato dei lavoratori, ha dato un senso nuovo al nostro stare in Europa, ha teorizzato e praticato l’intervento pubblico nell’economia, ridato forza alla sanità pubblica. Per un pezzo di Paese sostituire Conte voleva dire, da una parte, sconquassare quell’equilibrio per mettere nelle mani di altri la gestione delle risorse del Recovery e, dall’altra, stroncare sul nascere la possibilità che l’alleanza di governo divenisse progetto politico. Se il primo obiettivo è stato, almeno in parte, raggiunto, non possiamo permettere che questo accada con il secondo.
Se il fronte del governo ci fa arretrare, infatti, abbiamo il compito di produrre uno scatto in avanti, più che mai forte e deciso, sul piano politico. L’asse tra Pd, Movimento e LeU non esprime solo la principale forza parlamentare per orientare le scelte del governo che sta per nascere, non è solo un punto di tenuta per i mesi a venire, ma rappresenta un progetto, un’occasione di rilancio e di ripartenza, una traiettoria possibile in vista di quello che sarà.
In questa direzione dobbiamo far tesoro dell’esperienza del 2018. Per costruire un’alternativa credibile, una leadership come quella di Giuseppe Conte è indispensabile ma non sufficiente. Un progetto nuovo tra forze con alle spalle percorsi, storie e identità diverse non può vivere solo nelle aule parlamentari, né può essere calato sui territori a ridosso delle scadenze elettorali. Va fatto vivere, crescere, va radicato attraverso il confronto e l’elaborazione, attraverso la condivisione di agende comuni, la costruzione di un pensiero nuovo, la ricerca di un linguaggio in grado quel pensiero di raccontarlo, la rinascita di un senso di comunità che in tanti hanno smarrito.
È qui che risiede la sfida che con la quale saremo chiamati a misurarci nei prossimi mesi. Perché una volta che il Governo Draghi avrà esaurito i suoi compiti il Paese tornerà al voto. Il centrodestra si presenterà compatto, se pure – con buona probabilità – con equilibri diversi al suo interno. Batterlo sarà possibile solo se nel frattempo saremo capaci di mettere in campo un fronte largo attorno ad un progetto forte e a una leadership riconosciuta. In vista di quell’appuntamento dividerci, oggi, sarebbe un errore imperdonabile.