Servi della vita in un’Italia ferita: ecco come sarà la nuova Cei del cardinal Bassetti

| Italia

Dopo averlo elevato alla porpora nel 2014 sebbene non fosse vescovo di una sede cardinalizia,  Papa Francesco ha scelto, rispettando il risultato del voto dei vescovi, come successore del cardinale Angelo Bagnasco alla guida della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve. Una scelta in cui già si inscrive un programma e che appare in sintonia con i criteri seguiti dal Pontefice nel rinnovo del collegio cardinalizio ad ogni concistoro. Dare voce alle periferie, valorizzare esperienze di base e di solidarietà, per rinnovare e rigenerare l’esperienza e la missione  ecclesiale.

Caratteri che si ritrovano nel profilo del cardinal Bassetti, instancabile nel richiamare, «costantemente i cristiani ai loro doveri verso i fratelli che vivono difficili situazioni di povertà umana e materiale, oltre a non far mancare la sua attenzione a quanti sono ‘distanti’ dalla Chiesa“», come ha ricordato la sua diocesi di Perugia per l’occasione del suo arrivo al vertice della Cei. Una sensibilità che scaturisce anche dall’aver conosciuto bene un grande maestro nel servizio ai poveri come don Lorenzo Milani e nell’essersi formato nella tradizione del cattolicesimo sociale fiorentino, nata con La Pira e proseguita con il cardinale Piovanelli che è stato suo maestro. Ma anche dai rapporti con l’ebraismo, come quelli con il rabbino di Belgrado, conosciuto da giovane nella drammatica circostanza dell’alluvione di Firenze del 1966.

Al neo presidente della Cei si prospetta innanzitutto il compito di rinnovare la pastorale per adeguarla alla missione della Chiesa nel mondo di oggi, così da  “essere servi della vita in questo tempo ferito”, come ha ricordato il Papa ai vescovi italiani. Appare realistico, infatti, ritenere che gli anni del mandato del Cardinal Bassetti incroceranno nuove e più grandi ferite nella società italiana che si sommano a quelle esistenti. E i cristiani dovranno farsi trovare pronti a dare testimonianza della loro fede, in forme nuove ed anche attingendo dalla tradizione. La Chiesa si troverà in prima linea nel riallacciare legami di comunità in una società che si frammenta, che smarrisce il senso del destino comune della nazione. Siamo un Paese in qualche modo immunizzato dagli eccessi del nazionalismo, ma la domanda sul senso della comune appartenenza ad una nazione e ad una patria più ampia che è l’Europa, in un tempo in cui gli stati nazionali e le istituzioni politiche, anche quelle internazionali, vengono scavalcati da poteri transnazionali che non tutelano il popolo e che si oppongono ad una equa ripartizione della ricchezza, non appare affatto priva di significato. La Chiesa in Italia dovrà confrontarsi con una società composta da pochissimi ricchi, senz’altro propensi ad una filantropia ostentata e tutt’altro che disinteressata, ma non a riforme miranti ad una maggiore giustizia sociale. E dovrà confrontarsi con un ceto medio in decadenza, alle prese con scarsità di lavoro e retribuzioni non dignitose, senza più di fatto basilari diritti sociali che pure sono garantiti dalla Costituzione, e che si sente tradito dalla propria rappresentanza politica. Cosa potrà fare una Chiesa fedele al Vangelo, che è Vangelo degli ultimi e Giudizio per gli epuloni del nostro tempo, per spezzare l’egemonia culturale del “dio-denaro” non dipenderà solo dalla gerarchia, ma anche dalla capacità del laicato di raccogliere la sfida. Servono lavoratori, intellettuali, organizzazioni sociali, politici cattolici capaci di essere fedeli al popolo, di smettere di considerare come un valore, ciò che in realtà giova solo alla speculazione finanziaria, anche se è esaltato dai media; capaci di proporre un’altra scala di valori più compatibili con la fede.

In questo tempo ferito la Chiesa avverte distintamente prove che solo la tiepidezza della fede non ci fa sentire come prossime alla vocazione cristiana. Le ferite aperte in questi anni con l’ingiustizia economica, crescente e strutturale, e con le guerre che hanno devastato interi Paesi, se non affrontate con decisione e con un cambio deciso di paradigma, saranno destinate ad approfondirsi. Per questo serve quella sorta di sana improvvisazione di cui ha parlato il nuovo presidente della Cei, che non significa affatto pressapochismo, ma capacità in senso profetico di rivedere la scala delle priorità alla luce delle sfide del proprio tempo. La stessa sana improvvisazione, ad esempio, che fece pronunciare la notte di Natale del 2008, all’allora arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi delle parole concrete per tutelare famiglia e lavoro ai tempi della crisi, aprendo gli occhi a molti, alla narrazione dei “ristoranti pieni”, che oggi è sostituita dai “segnali di ripresa”. Il card. Bassetti sin dall’inizio del suo mandato da presidente ha dato un messaggio chiaro ai decisori, alle persone che hanno in mano il destino del nostro popolo: quello di uscire dai loro tecnicismi per prendere atto di una realtà che ha bisogno di essere affrontata sostituendo l’idolo del denaro con la priorità della giustizia e della fraternità. Un invito capace di cambiare le priorità anche nel laicato, nel popolo di Dio, e di suscitare nuove speranze per il Paese.

 

Gianni Bottalico

Già Presidente nazionale Acli. Cofondatore Alleanza contro la Povertà in Italia