Articolo Uno Rai: un vertice asserragliato e la dignità dell’azienda

Politica

C’è ancora qualcuno in Rai che ricorda le telefonate che, sia Villy De Luca che Biagio Agnes, direttori generali d’altri tempi, facevano a tutte le ore ai dirigenti, quando vedevano in tv qualcosa che pensavano non fosse consono con gli standard aziendali. Erano persone che conoscevano la Rai come le proprie tasche perché lì dentro si erano formati ed erano cresciuti.

Adesso per effetto di tutti gli errori fatti dalla cattiva politica, il vertice non si vede mai in giro per gli studi, le salette di montaggio, le redazioni, le teche. Non hanno nemmeno la curiosità di esplorare un mondo complesso e affascinante. Sono alieni non interessati a mettersi in ascolto di migliaia di persone che ogni giorno mandano avanti la baracca. Se lo facessero coglierebbero quei sentimenti di disagio e di frustrazione che purtroppo si percepiscono con chiarezza.

Nell’ultimo Cda Riccardo Laganà eletto con un ampio suffragio dai dipendenti Rai, ha abbandonato i lavori per la disperazione di dover sempre assistere ai soliti rituali, alle solite inconcludenti litanie di un vertice senza idee, senza progetti, senza futuro.

Quell’atto di protesta ha un significato preciso e inequivocabile: certifica la sfiducia delle migliaia di lavoratori verso chi li dirige. Umori che sarebbe facile cogliere con nettezza parlandoci, vedendo come lavorano, interpretandone le delusioni.

Chi gestisce, con ampi poteri la Rai, non solo non conosce l’azienda ma nemmeno la vita che scorre con grande difficoltà al di fuori dei cancelli di viale Mazzini. Sennò avvertirebbe tutto il peso della propria incapacità a mettersi in ascolto dei bisogni della gente. Sennò avrebbe risposto all’appello del ministro Franceschini per dare una mano alla diffusione della cultura e per un aiuto al mondo dello spettacolo.

Perché l’azienda non si rende disponibile a progettare nuovi format, ad inaugurare servizi ai cittadini, a pensare come rendere un po’ meno gravosa una condizione tanto drammatica? Tutte cose che i privati non sarebbero tenuti a fare.

Niente. Sono completamente fuori dal mondo, asserragliati negli uffici del settimo piano. Impiegano il loro tempo, ben retribuito, a fare organigrammi scombinati, ad attribuire poltrone a chi le pretende con arroganza.

Forse per questo che le migliaia di lavoratrici e lavoratori dovrebbe dire “basta, non ne possiamo più, abbiamo diritto ad una dirigenza che ci dia la dignità di mettere le nostre competenze, il nostro lavoro, la nostra passione, al servizio delle cittadine e dei cittadini del paese”. Un basta dai sindacati di tutte le figure professionali che quella responsabilità sociale dovrebbero sentirla come una missione.

Sarebbe uno scatto di orgoglio e di dignità per tutti, anche per la dirigenza, per non passare come quelli che non hanno voluto o saputo farsi carico di una grande, storica responsabilità.