Grazie alla rivista Restart pubblichiamo questo articolo di Emilio Russo apparso sul numero 4 del 2020. Un modo di ricordarlo che, speriamo, gli avrebbe fatto piacere.
La rete neurale della società italiana sembra da tempo incapace di attivare le sinapsi in grado da agire da recettori della politica. Dallo spettro dell’attenzione, avvenimenti, tendenze e immagini dei leader non sono del tutto rimossi, ma il modo in cui i messaggi vengono colti e introiettati nell’immaginario collettivo rimanda piuttosto alla sfera delle emozioni irriflesse e a interpretazioni operate secondo i codici propri di altre sfere. La stessa popolarità dei “capi politici”, costruita attraverso ardite quanto veloci scalate in solitaria nel gradimento del pubblico, finisce per consumarsi in tempi relativamente brevi, secondo
la dinamica dei like, che conosce solo tempi brevi e mutevolezza degli umori. È una lunga storia questa, i cui protagonisti più recenti e significativi sono Matteo Renzi e Matteo Salvini. Ma domani potrebbe capitare anche a Giuseppe Conte.
LA PROGETTUALITÀ DELLA POLITICA E IL PAESE
I riflessi sul sistema sono devastanti, sia perché questa dinamica tende ad anteporre il messaggio propagandistico all’esercizio della weberiana “etica della responsabilità” richiesta a chi riveste una responsabilità politica (senza nemmeno il complemento di una qualche “etica della convinzione”). E sia perché finisce per sabotare qualsiasi prospettiva di stabilità, impedendo la sincronizzazione tra cicli politici e cicli istituzionali. Ne consegue una condizione di straniamento dei cittadini rispetto alla dimensione progettuale della politica e l’impossibilità di collocare in un ordine plausibile di priorità i temi che stanno di fronte al
Paese. Ciò che rimane delle forze politiche e del loro insediamento organizzato, ormai residuale nella società, si esercita in modo pressoché esclusivo nell’area di parlamenti che spesso appaiono esausti, percorsi dalla volontà di autoconservazione dei propri membri e devastati dal virus di un trasformismo senza pudori. Il gioco delle parti a cui i cittadini-elettori sono chiamati ad assistere (come nei riti stucchevoli delle webinar delle scorse settimane) scavalca le consapevolezze necessarie di una sfera pubblica informata come dovrebbe accadere in una democrazia ordinata e prescinde dalla possibilità di favorire la maturazione di convincimenti meditati.
DIMINUZIONE DEI PARLAMENTARI E MECCANISMI ELETTORALI
Così può accadere che un’iniziativa come quella sulla riduzione del numero dei parlamentari – non del tutto priva di fondamento ma giocata con intenti propagandistici, identitari, di una parte, il M5S – sfociata in un referendum rimasto congelato a causa
dell’epidemia, si sia estesa al tema delicato dei meccanismi elettorali, continuando ad essere confinata nell’empireo di una discussione del tutto criptica, strumentale, tatticistica condotta dai “vertici” delle forze politiche (o meglio, dei gruppi parlamentari) di fronte a un’opinione pubblica frastornata e senza alcun reale coinvolgimento neppure di quella che un tempo veniva definita come “la base” dei partiti. In questa deriva si inseriscono anche le imminenti scadenze elettorali di carattere locale. Il voto nelle Regioni viene derubricato, nel centrodestra, a un’occasione per misurare i rapporti di potere tra le diverse componenti e nell’altro fronte a prove tecniche di avvicinamento tra centrosinistra e Cinque Stelle o a pretesti per segnalare la dissociazione delle schegge in fuga verso il centro. Quanto ai Comuni, ridotti, nella realtà e nell’immaginario, a entità meramente amministrative e “apolitiche”, le scelte consegnate all’elettore rischiano perlopiù di essere confinate nel perimetro dei “mi piace” attribuiti ai sindaci e di eventuali plebisciti sugli uscenti, spesso le uniche personalità “politiche” locali conosciute dai cittadini.
LA TALPA DELL’ANTIPOLITICA
Le secche della politica – e il limite della democrazia che producono – sono l’effetto della ritirata delle forze politiche iniziata con il passaggio dei primi anni “90, per il combinato disposto di cause che qui si possono solo richiamare per titoli: da una parte i difetti del vecchio sistema e dall’altra l’attacco frontale di sostenitori interessati nel mondo di un capitalismo corporativo e tracotante in grado di controllare media ed editoria e ansioso di ridurre la politica a un ruolo ancillare nei confronti dell’economia. Più in profondità, la talpa dell’antipolitica però ha lavorato per smobilitare la capacità un tempo diffusa tra gli italiani di connettere tra loro i vissuti personali, le esperienze collettive, i sistemi di valore, con le categorie di carattere storico in grado di interpretarli,
fino a rendere difficilmente decifrabile, in una parte delle nuove generazioni, persino il discrimine e le ragioni dell’antitesi di fascismo e antifascismo. Per chi, come noi, ha a cuore libertà, democrazia, e giustizia sociale, tutela dei beni comuni a partire
dall’ambiente, c’è davvero molto da fare: riprendere quella che un tempo si definiva come “battaglia culturale” (investendo le agenzie in cui avviene la formazione delle coscienze, dalla scuola all’informazione), con la consapevolezza del suo intreccio
necessario con l’impegno a ricostruire un progetto politico e un’organizzazione impegnata a realizzarlo attraverso strumenti e modalità che favoriscano una reale partecipazione. Le sinapsi da ricreare sono nuove forze politiche, senza le quali, per utilizzare le parole autentiche del ministro von Metternich, la società italiana rischia di ridursi sempre più a una semplice espressione demagogica.