“Milano che banche, che cambi, Milano gambe aperte, Milano che ride e si diverte”, così Lucio Dalla descriveva la metropoli che “ti fa una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano”; oggi a Milano a gambe aperte si sta solo per sopravvivere, Milano continua come da decenni ad essere sì il potente motore del Paese, ma contemporaneamente a respingere la sua gente, sempre più in fuori, e sempre più dal punto di vista sociale ai margini. Questo è il punto, non quanto guadagna un impiegato pubblico a Milano e uno a Reggio Calabria.
La questione è che se Milano è motore importante e parte essenziale del pil del Paese ci si deve chiedere dove questo pil, questa ricchezza che viene costruita da chi lavora, va a finire; e a Milano, si sa bene, va nelle solite tasche.
A Milano se si è in affitto ben più di metà stipendio va via per la pigione e allora si va fuori, sempre più fuori perché i costi della casa sono gli stessi in città e nell’area metropolitana, e allora quello che finalmente si risparmia in affitto lo si spende in benzina per recarsi al lavoro intasando le tangenziali e inquinando a più non posso e spendendo momenti di vita. E se si esaltano i “boschi verticali” con appartamenti a ventimila euro al metro quadro e non si muove un dito contro le nefandezze di Regione Lombardia nella gestione delle case Aler con centinaia di vani in tutta la Città Metropolitana lasciati vuoti a marcire non si possono fare passi in avanti.
Lo sviluppo delle esperienze di cohousing, la gestione attenta del patrimonio edilizio pubblico, l’attenzione ai bisogni abitativi non con proclami, ma con fatti concreti a cominciare da un vero e serio censimento dei vani sfitti, delle costruzioni fatte e lasciate a se stesse che possono essere riconvertite in spazi abitativi: su questi fronti ci si deve muovere.
L’Italia ha bisogno di Milano e Milano ha bisogno dell’Italia e non può chiamarsi fuori, dichiararsi a parte, sentirsi una cosa a sé. Milano è Milano se riesce ad essere tutt’uno con l’insieme del Paese, anche con quelle parti del Paese che non godono dei servizi che a Milano sono a portata di tutti.
“Milano che fatica” chiosa Lucio Dalla, e questa fatica la si deve affrontare con la consapevolezza che il risultato andrà oltre i confini della città e della sua area metropolitana, per il Paese, per tutti.
Se Milano vive, vive il Paese e allora basta con le suggestioni della “Milano da bere” che sottotraccia continuano ad emergere, Milano vive se il Paese intero vive e quindi il compito è costruire una “Milano da vivere” per il bene suo e per quello del Paese.