Verso quale post Covid-19? Temi e spunti per una ripartenza

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Il lavoro è frutto della riflessione condivisa e coordinata dei due autori. Francesco Meglio ha curato i paragrafi 1-4, Matteo Prodi i paragrafi 4-9.

Sommario: 1. Il bisogno “permanente” di essere comunità. – 2. Informatizzazione e digital divide. – 3. Affettività e pandemia. – 4. Libertà costituzionali, emergenza sanitaria e contact tracing. – 5. Lavoro, tetto e terra: la direzione indicata da Papa Francesco. – 6. Salute come diritto e sistema sanitario, tra tasse e welfare. – 7. Le diseguaglianze crescenti. – 8. La questione ambientale. – 9. Conclusioni.

 

  1. Il bisogno “permanente” di essere comunità.

Il Covid-19 porta anzitutto ad interrogarsi sul concetto di comunità. Nel farlo, è bene partire dal lemma. Comunità si scompone in cum e munus. Munus è la prestazione dovuta. La comunità è perciò un’aggregazione di individui che condividono un vincolo reciproco[1]. Il senso di comunità, secondo un adagio ricorrente, si avverte maggiormente nelle difficoltà. Se questo è stato vero nelle settimane di chiusura, la “Fase due” dell’emergenza impone di preservare se non accrescere il senso di comunità.

Occorre, in altri termini, consolidare il senso di partecipazione alle comuni sorti. Nessuno è capace di uscirne da solo, ma ognuno deve contribuire con il proprio impegno e la propria responsabilità. Tra le pagine scritte in questo tempo, alcune tra le più belle si trovano nel saggio Nel contagio di Paolo Giordano, il quale richiama i concetti di interconnessione e responsabilità, in una parola di comunità. Le nostre vite non sono autosufficienti ma collegate le une alle altre.

Il senso di una comunità sovente si forma dinanzi a un nemico o in vista di un conflitto, di una guerra. In queste settimane, l’emergenza sanitaria è stata diffusamente paragonata a una guerra[2]. Una metafora che lascia il tempo che trova. Dire che il Paese è “in guerra” con il virus e che il “singolo malato è un eroe”, vuol dire, implicitamente o no, caricare i malati di una responsabilità e della “colpa” della “sconfitta” quando la guarigione non riesce.

C’è bisogno, specialmente in questa fase, di puntare sulla condivisione delle regole piuttosto che sulla forza repressiva della sanzione. Se durante la chiusura poteva persuadere la minaccia della sanzione, ora più che mai è importante convincersi dell’importanza di condotte responsabili e consapevoli.

 

  1. Informatizzazione e digital divide.

La pandemia e l’inizio della quarantena hanno insinuato la convinzione che lo sviluppo tecnologico potesse supplire ai contatti sociali vietati. Tale suggestione è durata poco, il tempo di qualche raduno sui balconi nei primi giorni. Nella migliore delle ipotesi, essi hanno funzionato alla stregua della Gazzetta Ufficiale.

L’informatizzazione ha senza dubbio accorciato talune distanze. Le videochiamate, poi, hanno permesso ai nonni di vedere i nipoti, e agli innamorati di sentirsi meno lontani.

Gli strumenti tecnologici hanno funzionato meno bene in altri segmenti della vita di relazione. Si pensi alla scuola. Al netto delle esperienze positive, che pur non mancano, la didattica a distanza ha finito con l’acuire le distanze tra studenti e docenti[3]. La scuola primaria e la secondaria di primo grado non hanno creato, talvolta, il contatto. Meglio è andata per la scuola secondaria di secondo grado e per le università.

Ciò detto, v’è da chiedersi se la lezione del virus sia stata compresa. Il timore è che non sia così. Il virus ci ha trovati impreparati. La verità è che abbiamo dovuto adattare anche la formazione all’emergenza. Ne è discesa talvolta una organizzazione schizofrenica, con i docenti chiamati a “prenotare” le lezioni su piattaforme messe a disposizione dall’istituto, in una finestra temporale che va dalle 8 alle 20. Per non dire dell’andirivieni sull’esame di maturità, diventato una vera e propria battaglia di principio, con i maturandi nella parte delle cavie.

Che dire poi della P.A. Qui il lavoro agile (“smart working”)[4] si è incagliato. Le statistiche ci ricordano che un terzo delle attività lavorative può essere svolto con tale modalità, anche nelle situazioni ordinarie. A maggior ragione dovrebbe valere nel tempo attuale. Ebbene, in molti settori ciò non è avvenuto. Il lavoro agile non è soltanto una soluzione temporanea alla pandemia. Esso può rappresentare uno strumento per una mobilità cittadina più sostenibile, con ricadute sulla qualità dell’ambiente che viviamo. Meno persone che si spostano vuol dire meno mezzi che circolano e, soprattutto, minori emissioni di CO2 in atmosfera[5].

La quarantena ha ampliato il divario digitale (c.d. digital divide). L’insidia di una fede cieca nella digitalizzazione è quella di non avvedersi delle discriminazioni che essa è capace di generare. È messo in pericolo il principio di uguaglianza scolpito negli articoli 2 e 3 della Costituzione. Occorre considerare l’informazione e il mezzo che la veicola quali beni comuni, di cui tutti devono poter disporre. È di tutta evidenza l’urgenza di un piano nazionale da mettere in campo per fare sì che questo odioso gap si riduca il più possibile.

 

  1. Affettività e pandemia.

Affettività e non famiglia. Le ragioni di questa scelta sono molte. Da tempo, anche i civilisti convengono su ciò. Parlare di famiglia vuol dire prendere atto di un fenomeno da declinare al plurale. Alla metafora della famiglia quale «isola che il mare del diritto deve solo lambire»[6], elaborata dal giurista “liberal-cattolico” Arturo Carlo Jemolo, si contrappone quella della famiglia come arcipelago[7].

Per affettività in psicologia si intende il complesso dinamico dei vari sentimenti. L’affettività nel tempo della pandemia ha molto sofferto. Costretti a restare a casa, a contatto con le stesse persone per due mesi, l’affettività «della presenza» ha imbrigliato un po’ tutti, abituati come eravamo all’affettività «della distanza» che talvolta diventava quella «dell’assenza». Un po’ a tutti riesce meglio vivere la distanza che non la presenza. Quest’ultima richiede contenuti, condivisione, comprensione e capacità di ascolto.

Nel podcast Domani a cura di Carlo Annese, con la collaborazione di Zacapa Rum, fruibile su Spreaker, tra i migliori prodotti di questo tempo, l’intervento di Ester Viola, avvocato divorzista e autrice di due romanzi di successo[8], tra l’altro, conferma il quadro delineato. La professionista ricorda come separazioni e divorzi nascano perlopiù da tradimenti sulla rete, da chat intrattenute di nascosto, da incontri virtuali.

Occorre chiedersi cosa fare affinché la frontalità recuperi terreno sulla virtualità, soprattutto in termini di effettività delle relazioni. Per quanto possa farci sorridere, l’aforisma di Friedrich Nietzsche secondo cui «se i coniugi non vivessero insieme, i buoni matrimoni sarebbero più frequenti»[9] non può rappresentare l’obiettivo per le relazioni affettive del futuro a medio e lungo termine.

 

  1. Libertà costituzionali, emergenza sanitaria e contact tracing.

Non solo tra gli studiosi si è posto il tema della compatibilità dei vari interventi normativi susseguitisi con le prerogative costituzionali.

Il tema si è posto anche in altre esperienze. Fra tutte, si pensi all’Ungheria e al suo premier Viktor Orban, che si è fatto attribuire “pieni poteri”[10], di fatto esautorando il Parlamento.

Ora, nel nostro Paese non pare si sia superato il confine. L’autorità di governo non ha concentrato nelle sue mani potestà e funzioni, né abbiamo assistito a deroghe ai principi dello Stato di diritto. La stessa Costituzione possiede i propri anticorpi. L’articolo 78, infatti, affida alle Camere la deliberazione dello stato di guerra e il conferimento al Governo dei poteri necessari. Vi è una differenza quantitativa, non meno che qualitativa, tra i poteri necessari, legittimi, e quelli pieni, illegittimi e al di fuori dello Stato di diritto.

Semmai la critica che può rivolgersi è quella dell’assenza di fatto del Parlamento, incapace di lavorare da remoto, come invece richiesto a lavoratori, insegnanti e studenti.

Per questo, la cosiddetta Fase due deve ricollocare al centro l’attività parlamentare. A partire dal tema del tracciamento dei contatti (contact tracing) e dall’app Immuni[11]. L’intervento di una legge ordinaria è prescritto dall’articolo 16 della Costituzione per una limitazione della libertà di circolazione e di soggiorno per motivi di sanità o di sicurezza. Occorre, cioè, assicurare una copertura legislativa a tale strumento. In secondo luogo, va garantito il diritto di riservatezza. I dati acquisiti dall’app non devono diventare un’occasione di guadagno ma solo di ausilio contro il diffondersi dell’epidemia.

È bene che allora essi rimangano sui dispositivi e non vengano acquisiti in maniera centralizzata. Tuttavia, la riservatezza si raggiunge solamente col consenso informato del cittadino. Per giungere a ciò è necessaria la chiarezza dei governanti. Solo così si potrà ricevere collaborazione.

 

  1. Lavoro, tetto e terra: la direzione indicata da Papa Francesco.

La prima parte di questo articolo ci ha portato queste acquisizioni: siamo comunità, siamo costruiti dai nostri affetti, abbiamo bisogno di riscoprire la potenza della nostra Costituzione e abbiamo bisogno di togliere ogni ostacolo alla realizzazione di questo progetto. La comunità si costruisce con l’apporto di tutti; questo apporto nella Costituzione viene chiamato lavoro, non come elemento per definire contrapposizioni tra classi, ma come fattore unificante. Il Covid-19 può ulteriormente creare esclusi da questa possibilità di offrire il proprio contributo. E’ illuminante la prospettiva con cui papa Francesco parla di lavoro nella sua ultima lettera ai movimenti popolari; davanti alle ingiustizie e alle disuguaglianze del mondo «non vi autocommiserate, ma vi rimboccate le maniche e continuate a lavorare per le vostre famiglie, per i vostri quartieri, per il bene comune»[12].

Non solo cercare, ma creare lavoro diventa la reazione migliore per un mondo da rinnovare. E questa spinta va premiata, anche con una remunerazione adeguata che riconosca la dignità delle persone: «Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento… e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti»[13]. Chi opera per il bene comune deve avere una remunerazione; il discorso è l’esatto contrario di un reddito (chiamato in molti modi) dato a tutti, a prescindere. Il lavoro, così inteso, soprattutto il lavoro di cura, deve anche essere l’elemento costruttivo della cittadinanza e dello sviluppo umano sostenibile. Il lavoro deve sempre più diventare la risposta al dolore che c’è nel mondo: occorre «prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare»[14].

Anche la Lettera ai movimenti popolari costruisce un ponte tra il dolore dell’altro e lo sviluppo: «Avete una cultura, una metodologia, ma soprattutto quella saggezza che cresce grazie a un lievito particolare, la capacità di sentire come proprio il dolore dell’altro. Voglio che pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull’accesso universale a quelle tre T per cui lottate: tierra, techo e trabajo (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro[15].

Per uno sviluppo sostenibile Bergoglio invita a ribaltare i termini del problema: non sarà lo sviluppo a produrre (ultimamente non l’ha fatto[16]) il lavoro; ma a partire dalla compassione, dal saper trasformare in sofferenza personale il dolore che c’è nel mondo, troveremo la chiave per lo sviluppo, che deve diventare anche l’obiettivo della riflessione teologica: la richiesta, infatti, che ci viene da Veritatis Gaudium, il documento pontificio per il rinnovo degli studi teologici, è offrire alla Chiesa ‘in uscita’ luoghi dove iniziare a «cambiare il modello di sviluppo globale e ridefinire il progresso: il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade»[17]. Il Covid-19 rende questo urgente e necessario.

Quindi lavoro, tetto e terra per costruire il nuovo mondo attraverso uno sviluppo sostenibile, integrale e contagioso. Cosa possiamo dire per tetto e terra?

Con la parola tetto si deve intendere la protezione che è da garantire ad ogni uomo.

 

  1. Salute come diritto e sistema sanitario, tra tasse e welfare.

Questa pandemia ci ha ricordato come la salute sia l’elemento assolutamente indispensabile per un futuro sostenibile del mondo e delle singole persone. Nella crisi del Covid-19 l’Italia è apparsa, ancor più, divisa in due: il numero dei contagiati al Sud è inferiore rispetto al Nord. Buona sorte?

L’assistenza sanitaria nel Mezzogiorno è, per le risorse investite, di livello inferiore alle altre regioni. Il rapporto SVIMEZ 2019 presenta dati molto preoccupanti; ad esempio «ampi squilibri si rilevano con riguardo ai posti letto per disabili (53 posti letto a fronte di 100 nel Centro-Nord), e ai posti letto per anziani (1.137 posti letto a fronte di 2.608 nel Centro-Nord)».

Al Nord il mondo della sanità ha subito una privatizzazione e una aziendalizzazione senza scrupoli e, non solo per questo, ha pagato l’impatto del virus. Nonostante la Costituzione, la salute in Italia non è tutelata come diritto per tutti: quanto siano profondi i tagli alla spesa per la salute è difficile dirlo; sicuramente questa crisi ci ha colti impreparati.

E il futuro, per il welfare in generale, non è affatto roseo se guardiamo alla demografia: secondo l’Onu, nel 2050 in Europa vi saranno 70 “bocche da sfamare” ogni 100 persone in età di lavoro, mentre oggi ce ne sono 53. Un salto non banale. In ogni caso, è necessario ripensare tutto il mondo dell’economia in funzione delle fasce più deboli della popolazione: il reddito che viene prodotto deve tornare ad essere un dividendo sociale[18]: anche la tassazione deve essere totalmente ricompresa, ribaltata.

Occorre combattere con ogni mezzo evasione, corruzione e ricorso a paradisi fiscali di ogni tipo. Il punto è definire quanto (e come!!!) deve essere investito per vite dignitose (istruzione, salute, casa, lavoro) e impostare le aliquote in base a questo livello di spesa. La spesa per il welfare non è entità residuale. Vincere le elezioni promettendo di abbassare le tasse è un inganno: si aiutano i ricchi e si condannano i poveri a vite non custodite. Le tasse come ammontare complessivo devono aumentare, e l’aumento deve essere a carico dei più ricchi e dei possessori di capitale.

 

  1. Le diseguaglianze crescenti.

Parlare di tasse e welfare ci porta anche alla lotta alle disuguaglianze, che sono una ingiustizia e un freno allo sviluppo perché il loro attuale livello soffoca l’economia, abbattendo il livello dei consumi[19]. Ma ci aiuta a pensare anche alla parola terra: cosa è indispensabile dare a tutti per una vita dignitosa, a partire dal cibo? La disuguaglianza è esplosa dal 1980 in poi (la svolta neoliberista della Thatcher e di Reagan). Le risorse devono servire per consentire ad ogni persona di avere una vita dignitosa attraverso l’istruzione, la cura della salute e il fornire opportunità per una vita piena. La crisi di oggi rischia di accentuare il divario tra chi ha e chi non ha.

Dobbiamo fare qualcosa. «Esistono passi che possono essere intrapresi dai governi, singolarmente o collettivamente, da aziende, da sindacati e organizzazioni dei consumatori e da noi tutti in quanto individui, per ridurre i livelli attuali di disuguaglianza»[20]. Solo la politica può compiere scelte forti e plasmanti la società. “L’interrelazione tra disuguaglianza e politica è cruciale”[21]: la ricchezza negli ultimi decenni ha acquistato sempre più influenza. La crescita dei grandi patrimoni ha prodotto centri di potere sempre più inattaccabili anche per le nostre democrazie. E il circolo rischia di essere vizioso, a meno che i più poveri non convergano a costruire nuovi soggetti politici, respingendo il ritornello del pensiero unico dominante, secondo cui non ci sono alternative possibili a questa situazione iniqua. I politici e i semplici cittadini possono influenzare il corso della storia.

Per questo è decisiva l’opera di educazione, di formazione per capire come costruire il bene comune, come dare fondamento e spessore alla speranza. Ancora parole del papa: «La nostra civiltà, così competitiva e individualista, con i suoi frenetici ritmi di produzione e di consumo, i suoi lussi eccessivi e gli smisurati profitti per pochi, ha bisogno di un cambiamento, di un ripensamento, di una rigenerazione. Voi siete i costruttori indispensabili di questo cambiamento ormai improrogabile; ma soprattutto voi disponete di una voce autorevole per testimoniare che questo è possibile. Conoscete infatti le crisi e le privazioni… che con pudore, dignità, impegno, sforzo e solidarietà riuscite a trasformare in promessa di vita per le vostre famiglie e comunità»[22].

Anche la nostra Costituzione – probabilmente per i ritocchi successivi, come la riforma del Titolo V – permette che qualcuno sia dimenticato, che le disuguaglianze crescano, che il welfare non sia adeguato, che la frattura Nord/Sud sia sempre più insopportabile: abbiamo bisogno di un costruire la Democrazia sostanziale[23].

 

  1. La questione ambientale.

Fonte di esclusione e di disuguaglianza può diventare anche la terra, l’ambiente; i rischi che ne derivano sono devastanti. Ciò che ci circonda non è a “nostra completa disposizione”. Le catastrofi mostrano che il rischio è una dimensione costitutiva della realtà. Troppi eventi, oggi il Covid-19, spingono a pensare che vivere comporti un rischio. Ulrich Beck definì la società del rischio: “Oggi e in futuro dobbiamo – e dovremo – vivere non in un mondo di pericoli mai esistiti prima, ma in un mondo che deve – e dovrà – scegliere il proprio futuro nelle condizioni di insicurezza prodotta, autofabbricata. Per essere più precisi: viene meno la fede nella capacità della società moderna di controllare i pericoli da essa stessa prodotti – e viene meno non a causa dei fallimenti e delle sconfitte del Moderno, ma a causa delle sue vittorie. Il mutamento climatico, ad esempio, è un prodotto dell’industrializzazione riuscita che ha sistematicamente trascurato le sue conseguenze”[24].

Il rischio diviene sempre più globale e le paure che genera «hanno un effetto collaterale particolarmente fatale: le persone o i gruppi che diventano (o sono fatti diventare) ‘persone a rischio’ sono considerati come non-persone, i cui diritti fondamentali sono minacciati. Il rischio separa, esclude, stigmatizza»[25]. Il rischio dà forma alla società.

Occorre prestare attenzione: “Nel corso della storia si è continuamente riusciti a trasformare l’insopportabilità di un mondo estraneo in un ambiente familiare […] È dubbio che qualcosa di analogo possa ancora avvenire nell’epoca della società mondiale del rischio: ciò che caratterizza la nostra situazione è piuttosto una disaggregazione senza riaggregazione”[26]. Forse, non tutto andrà bene.

 

  1. Conclusioni

Per concludere, occorre ricostruire il rapporto col futuro, con il nostro impegno e la nostra determinazione a gettare le basi per una vera fratellanza che si irradi dal locale al globale: solo così costruiremo la pace[27], solo così rinascerà la speranza. Anche in ultimo lasciamo le parole al papa: «Continuate a lottare e a prendervi cura l’uno dell’altro come fratelli. Prego per voi, prego con voi e chiedo a Dio nostro Padre di benedirvi, di colmarvi del suo amore, e di proteggervi lungo il cammino, dandovi quella forza che ci permette di non cadere e che non delude: la speranza»[28].

[1]          F. Di Marzio, Comunità. Affrontiamo la nostra prova, in Emergenza Covid-19 Speciale, 1, 2020, Milano, p. VII ss.

[2]      Cfr. S. Sontag, Malattia come metafora, 1978.

[3]      Cfr. Il digital divide frena la didattica a distanza, in AGI, 4 aprile 2020. In questo contributo si cita il rapporto ISTAT 2018 dal quale risulta che un quarto delle famiglie italiane non accede a Internet.

[4]      S. Bini, Lo smart working al tempo del coronavirus. Brevi osservazioni, in stato di emergenza, in Emergenza Covid-19 Speciale, cit., p. 67 ss.

[5]      In questi termini, R. Amato, Lo smart working oltre la pandemia: “In ufficio sarà norma per uno su tre”, La Repubblica, 4 maggio 2020.

[6]      A. C. Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali Sen. Giuridico Università di Catania, II, n. 38, 1948.

[7]      F. D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, p. 510 ss.

[8]      L’amore è eterno finché non risponde, Torino, 2016 e Gli spaiati, Torino, 2018, entrambi pubblicati per Einaudi.

[9]      F. Nietzsche, Umano troppo umano, Milano, 1970, I, p. 214 ss.

[10]    In Italia, l’ultima attribuzione di pieni poteri si è avuta con la l. 22 maggio 1915, n. 671,  e dunque nel primo conflitto mondiale.

[11]    Sul punto, A. Celotto, “Immuni” e la Costituzione, in giustiziacivile.com, 29 aprile 2020.

[12]    Papa Francesco, Lettera ai movimenti popolari, 12 Aprile 2020.

[13]    Papa Francesco, Lettera ai movimenti popolari, 12 Aprile 2020, cit.

[14]    Papa Francesco, Laudato sì, n. 19.

[15]    Papa Francesco, Lettera ai movimenti popolari, 12 Aprile 2020, cit..

[16]    Quanti posti di lavoro crea e distrugge la tecnologia? Cfr. R. Staglianò, Al posto tuo. Come web e robot ci stanno rubando il lavoro, Einaudi, Torino, 2016.

[17]    Veritatis Gaudium, 3.

[18]    F. G. LAWRENCE, N. A. SPACCAPELO e M. TOMASI, Il teologo e l’economia. l’orizzonte economico di b. lonergan, Armando editore, Roma, 2009, pag. 133.

[19]    Cfr. J. Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro, Einaudi, Torino, 2014.

[20]    A. B. Atkinson, Disuguaglianza. Che cosa si può fare?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015, p. 306. Nel libro si parla di reddito minimo, aliquote fiscali, tassazione delle eredità e possibilità di offrire ai maggiorenni una dotazione di capitale.

[21]    A. B. Atkinson, Disuguaglianza. Che cosa si può fare?, cit., p. 309.

[22]    Papa Francesco, Lettera ai movimenti popolari, 12 Aprile 2020, cit.

[23]    Cfr. G. Dossetti, Democrazia sostanziale, Zikkaron, Marzabotto (Bo), 2017.

[24]    U. Beck, Conditio humana. Il rischio nell’età globale, Editori Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 15-16. Il libro ha già molti anni!

[25]    U. Beck, Conditio humana. Il rischio nell’età globale, cit., p. 30.

[26]    U. Beck, Conditio humana. Il rischio nell’età globale, cit., p. 369.

[27]    Quando smetteremo di vendere, comprare armi e di spendere per l’esercito?

[28]    Papa Francesco, Lettera ai movimenti popolari, 12 Aprile 2020, cit.

Francesco Meglio Matteo Prodi

Francesco Meglio è dottore di ricerca in Diritto civile. Autore di numerosi articoli, saggi, commenti alla giurisprudenza sulle più prestigiose riviste giuridiche. I suoi interessi scientifici si rivolgono, in particolare, al diritto di famiglia e delle successioni, con una cifra: il costante riferimento alla Costituzione. Ama scrivere e leggere. Roth, Franzen e Cognetti sono i suoi autori preferiti. Matteo Prodi è nato nel 1966, laureato in Economia e Commercio all’Università di Bologna nel 1990, è stato ordinato presbitero nel 1997. Dall’anno accademico 2008-09 è professore invitato alla FTER nell’ambito della morale sociale. Nel 2010 ha conseguito il Dottorato in teologia presso la FTER con una tesi su Felicità e strategie d’impresa. Persona, relazionalità ed etica d’impresa. Da Ottobre 2010 Collabora con l’Università di Bologna per il Seminario su Etica d’impresa. Nel Febbraio 2018 ha pubblicato il libro "Votare, oh, oh!" per l’editrice Aracne, una agile guida per riflettere sulle scelte politiche.