Siamo ormai da quasi due mesi costretti in questa impensabile condizione e le difficoltà si sentono. Dalle finestre non si canta più, lenzuola e cartelli appesi ai balconi penzolano intristiti con l’arcobaleno sbiadito. Si spera ancora che #andràtuttobene. Quando? Serpeggiano malcontento e paura del domani. Lo capisco. Artigiano a un passo dalla pensione, abituato a precarietà e assenza di garanzie, sono comunque più fortunato di altri. Non ho affitti e grossi mutui da pagare, ma se non torno presto al lavoro non sarò in grado di onorare le prossime scadenze, e dovrò lasciare inascoltati gli appelli che mi giungono dai fornitori all’avvicinarsi delle scadenze di fine mese. Di stipendio neanche a parlarne.
Da quando, domenica sera, il presidente del Consiglio è apparso in televisione per presentare il nuovo decreto di avvio dell’attesa “Fase2”, si sono moltiplicate critiche, lamentele, contestazioni, vere e proprie ribellioni. Alcune comprensibili, altre un po’ meno. Alcune legate a complicate situazioni e oggettive difficoltà, altre a problemi tutto sommato risibili. Quelle un po’ pretestuose e superficiali (i parenti sì, gli amici no, posso andare a Cuneo ma non a Laveno); quelle più concrete e realistiche legate alle preoccupazioni per la ripresa delle attività economiche; quelle a carattere politico più generale (il fantasma dei pieni poteri, le costrizioni, le multe, l’anticostituzionalità dei decreti); quelle legate a spudorate manovre per cambiare il governo; quelle per accattivarsi fugaci consensi. Sarà l’inedita condizione di cattività, sarà l’altrettanto inusuale inattività e pure io mi sento tentato dalla principale attività di umarell, il pensionato che osserva i lavori in corso scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
Ma quella in cui scrivo è stata una bella giornata. L’asteroide 1998 OR2 ci è passato “vicino” senza provocare ulteriori danni al martoriato pianeta Terra. A Genova è stata varata l’ultima campata del Ponte (con la maiuscola come vuole Renzo Piano), iniettando un po’ di fiducia nel nostro affaticato Paese. Hanno persino catturato Papillon, l’orso N49 che terrorizzava il Trentino. Ma soprattutto, la quotidiana ricognizione all’esangue estratto conto (rigorosamente in modalità home banking) rileva l’atteso accredito dell’indennità Covid-19 di cui avevo perso traccia e un po’ di speranza.
In questo clima di ritrovata fiducia, mi ritrovo nella per me quasi inedita posizione filogovernativa a considerare positivamente Conte e le scelte del Governo. Non dimentico la perdurante precarietà, che è anche mia – temo anch’io una débacle dell’economia – mi terrorizza la fosca prospettiva di tante attività. Allo stesso tempo apprezzo toni e parole usate da Conte; parole rivolte a 60 milioni di cittadini, quindi necessariamente semplici e didascaliche. Può sembrare sciocco parlare di grigliate, cene private e come comportarsi quando vai a trovare il nonno o la morosa, lo è ancor di più con la tensione salita alle stelle sui temi dell’economia, degli aiuti che faticano ad arrivare, del futuro nebuloso che si prospetta, ma credo sia indispensabile passi il messaggio che non siamo al “liberi tutti” con la conseguenza di comportamenti pericolosi. Dire di non fermarti sul marciapiede a mangiare la pizza da asporto che hai appena comperato può sembrare quasi offensivo “non sono un bambino!”, ma ci siamo dimenticati di quando abbiamo dovuto imporre al nonno di non andare alla Casa del Popolo a giocare a scopa e di essere stati creduti solo quando un paio di giocatori sono morti?
Capisco però che trovare un equilibrio tra tutte le esigenze e le richieste sia assolutamente complesso se non impossibile e le critiche inevitabili. Rimango altresì convinto che la scelta di proseguire con le limitazioni, la gradualità nelle aperture, sia la scelta giusta, perché la malattia non è vinta e anzi proprio qui in Piemonte è ancora parecchio aggressiva.
Allora calma e gesso, stiamo tranquilli ancora un po’, torniamo al lavoro, con le dovute cautele, perché è indispensabile, e rimandiamo la grigliata. Certo, c’è chi l’attività non la può ancora riprendere, pensiamo ai ristoranti e agli alberghi, su questi credo vadano indirizzati gli aiuti. La semi-riapertura di lunedì prossimo sarà comunque un rischio ma anche una prova. Potrà andar bene, ma potrà anche andar male. Nel primo caso sarà più facile dare il via ad altre aperture, magari con differenze a seconda delle zone, altrimenti toccherà chiudere nuovamente. La scienza va ascoltata e la prospettiva che riaprire tutte le attività porterebbe, nello scenario più catastrofico, 151 mila persone in terapia intensiva l’8 di giugno e 430 mila a fine anno mette i brividi. D’altra parte se ne stanno accorgendo altrove. In Germania la risalita dell’indice dei contagi consiglia la frenata dopo le prime aperture. In Spagna la desescalada sarà “graduale, asimmetrica e coordinata”. In Francia il déconfinement prosegue e Macron dopo un improvvido annuncio innesta rapidamente la retromarcia e solo le scuole elementari apriranno l’11 maggio. Siamo tutti sul filo del rasoio: “Troppa incoscienza e l’epidemia riparte. Troppa prudenza e il Paese crolla”, dice il Primo Ministro francese Édouard Philippe.
“Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese“, la famosa frase di John Kennedy. Che posso fare io? Personalmente non credo molto di più che rispettare le regole e riprendere con attenzione a lavorare non appena possibile. Sono iscritto a un partito, cosa può fare un partito? Come si deve comportare? Credo sia inutile e sbagliato in questo momento criticare e suggerire a Conte cosa debba o non debba dire o fare. Credo invece sia il momento di dimostrare responsabilità e vicinanza alle scelte del governo che è anche il nostro governo, in particolare ai nostri rappresentanti; Roberto che mi pare il più fermo sostenitore della prudenza, Maria Cecilia che ha e avrà nei prossimi mesi un carico di lavoro straordinario, Federico encomiabile nello sforzo che sta facendo anche per mantenere la centralità del Parlamento. Un atteggiamento che temo non ci risparmierà dall’onda che travolgerà gran parte della politica, ma certi comportamenti, specie se di esponenti della maggioranza, proprio non li digerisco.
Questo per il momento contingente dell’emergenza, il che non ci deve sollevare dall’impegno di pensare al dopo, quel dopo che dobbiamo saper ricostruire, perché abbiamo capito, credo, che non potremo tornare alla normalità del prima, perché proprio la normalità è il problema.
Abbiamo messo al primo punto della nostra visione il superamento delle disuguaglianze e la battaglia deve essere contro le fragilità che il coronavirus ha messo in evidenza. Di questo dobbiamo occuparci, questa credo sia la prossima fase, la ricostruzione su basi nuove e diverse, combattendo le scelte e le storture di un sistema che hanno provocato quelle fragilità che il coronavirus ci ha sbattuto in faccia.
Fragilità del sistema istituzionale: regioni e comuni che vanno per conto loro con ordinanze che si rivelano veri abusi di potere perché non titolati ad assumere decisioni che, a mio avviso giustamente, devono essere assunte dal governo. Per il tempo dell’emergenza, s’intende, perché questa democrazia “sospesa” mi preoccupa e va superata al più presto.
Fragilità del sistema sanitario: non credo ci sia bisogno di aggiungere molto riguardo le critiche che da tempo rivolgiamo a un sistema che ha privilegiato il privato, depauperando di risorse, anche e soprattutto umane, il pubblico. Le difficoltà di approvvigionamento di mezzi e dispositivi, la sanità territoriale, il sistema delle residenze per anziani. Al di là delle inefficienze, degli errori, di comportamenti illeciti se non criminali, mettere insieme troppe persone si è rivelato, anche all’estero, una tragedia. Potenziare e sostenere la permanenza a casa degli anziani mi sembra doveroso.
Fragilità del sistema emergenziale: non so quanto sia condivisa la mia posizione, ma nutro forti perplessità sull’organizzazione verticistica, militarizzata della Protezione Civile. Organismo certo indispensabile, ma che non può occuparsi di tutto come se di tutto fosse esperto e capace. Un terremoto non è un’epidemia e costruire abitazioni di emergenza non è la stessa cosa di un ospedale. Utilizzare i suoi sistemi sbrigativi per superare gli ostacoli burocratici e amministrativi non mi pare sensato.
Fragilità del sistema sociale, economico e del mondo del lavoro. Credo che su questo tema si debba giocare buona parte della proposta politica di un partito intorno al quale dovrebbe ritrovarsi e ricostituirsi un blocco sociale sicuramente diverso e più ampio del tradizionale blocco dei lavoratori dipendenti. Non certo da abbandonare, ma la distinzione non può più essere tra autonomi/imprenditori/ricchi/evasori e lavoratori/sfruttati/sottopagati. La realtà è talvolta diversa, molto diversa, e non è solo un’esigenza di ampliamento del consenso o di forza rappresentativa, ma di esigibilità per tutti di diritti fondamentali. Il mondo è cambiato, la globalizzazione ha colpito duro chi era privo di adeguate protezioni sociali. Senza riferimenti sociali non andiamo lontano, ma il riferimento deve essere più ampio e adeguato ai cambiamenti avvenuti negli anni. Abbiamo giustamente costituito un gruppo di lavoro dedicato a “Partite Iva e Professioni”. Siamo anche riusciti a confrontarci in video conferenza. È presto per trarre conclusioni, trovo però di vitale importanza che si sia aperta una riflessione “da sinistra” sul tema.
Il dopo non è ancora arrivato, e sarà difficile da affrontare. Pensiamoci da ora.