I sondaggi non sono voti. Dunque, occhio a suonare il de profundis (in senso solo e soltanto politico, ovviamente) per Matteo Salvini. Sarebbe un errore madornale, imperdonabile. Un atto di arroganza cieca.
Gli umori del popolo possono cambiare in maniera repentina e inaspettata. E la destra – in Italia come in Europa – è ancora forte, radicata, capace di mobilitare i risentimenti di milioni di persone. Il calo della Lega indica tuttavia una tendenza verso il basso ormai robusta e consolidata da mesi che – come tale – va analizzata con serietà e rigore.
Oggi pagano indubbiamente un prezzo quelle forze che in un momento così drammatico per la vita degli italiani sembrano girare la testa esclusivamente verso la propaganda di bottega. Chi lascia ad altri lo spazio di governo dell’interesse comune – che nel caso specifico coincide con l’insindacabile incolumità delle persone – perde credibilità e forza attrattiva.
Il tema non è la fascinazione verso il governissimo o altri papocchi inguardabili. Destra e sinistra non possono governare insieme, sono progetti alternativi e inconciliabili, con buona pace di frotte arrembanti di editorialisti mainstream che scambiano i propri desideri per la realtà.
Tuttavia, la Lega è apparsa come una forza sostanzialmente disinteressata al destino del paese, impegnata a costruire una narrazione distruttiva e persino disfattista. Soprattutto nei confronti della battaglia difficile – e non ancora vinta del tutto – del governo italiano in Europa per imporre i recovery fund. Un sovranismo antipopolare e cattedratico, egemonizzato dalle suggestioni onaniste di gente come Bagnai e Borghi, personaggi ammalati da ansia da prestazione twittarola e affamati da comparsate televisive che ricordano più che altro una lezione da remoto di merceologia applicata. Non sembrano più in sintonia con un sentimento nazionale prevalente che chiede alla politica spirito di solidarietà e sobrietà nei comportamenti.
Accanto a questo, emerge con evidente drammatica la crisi di un modello di Governo leghista che di fronte all’irruzione del Covid è andato a gambe all’aria. Lasciamo stare la sicumera di Zaia: la nave ammiraglia della Lega sin dalla notte dei tempi si chiama Lombardia. Se la Lega scivola in Lombardia, precipita in Italia. Qui si concentrano le radici, i simboli, le cassaforti produttive, i leader storici del Carroccio. Passato e presente, insomma.
Il default del modello sanitario lombardo targato Fontana – si, l’incauto governatore con la mascherina e il gel spiaccicato sui capelli ispidi come setole di volpe – inciderà per molti anni nella coscienza popolare: alla prova più dura della storia dei pronipoti di Alberto da Giussano salta un’idea di efficienza e di buongoverno che si è rivelata poco più di una leggenda metropolitana. Il calo di Salvini secondo me sta tutto qui. Spavalderia mediatica e Caporetto amministrativa.
Lo dimostra la crescita dei consensi del governo Conte, in particolare di Roberto Speranza, ministro della Salute. È naturale che quando la partita si fa drammatica la gente si aggrappi a chi governa, a chi è costretto dalla storia a far fronte a scelte difficili, a chi trasmette l’idea di una condivisione del dolore diffuso di milioni di persone. Ma c’è qualcosa in più: la stanchezza verso leader politici che somigliano a influencer di marche di merendine zuccherate, impegnati soltanto a promuovere il proprio ego smisurato nella grande piazza virtuale, che si limitano a cavalcare la paura piuttosto che combatterla come acchiappafantasmi in provetta.
Non so se per Salvini sia l’inizio della fine. Ma sicuramente – come avrebbe detto Churchill – è la fine dell’inizio. E questa non è una cosa da poco, nell’anno del signore 2020 e nel giorno numero 47 di questo lunghissimo lockdown.