Viviamo i giorni di maggiore preoccupazione e dispiacere per il diffondersi della pandemia da coronavirus in tutto il territorio della nazione. Sono giorni nei quali dal Nord al Sud del paese, in modo pressoché unanime salvo rarissime ed errate eccezioni, gli italiani stanno affrontando con dignità e coraggio, umiltà e senso della fallibilità umana, la “sfida” che la vicenda coronavirus ha rappresentato dinnanzi ai loro occhi.
Una sfida, quanto all’oggi, di resistenza civica e di contenimento umano della propagazione del virus. Una sfida di cambiamento di paradigma e di prospettiva politica, quanto al domani che verrà.
Le immagini che giungono dal Nord del paese, osservate dal meridione ormai da settimane, realizzano in tutta la loro drammaticità un senso di coinvolgimento umano ed emotivo ispirato dai più alti e nobili valori di solidarietà e fratellanza.
Nell’Italia colpita al cuore dalla più grave emergenza sanitaria conosciuta nei tempi moderni non esistono pressoché più le distanze e le differenze conosciute fino a ieri. Siamo tutti uniti, indipendentemente dalle giuste misure di contenimento del virus adottate dal governo, da uno spirito di comunanza e di condivisione del pericolo e del rischio che stiamo correndo.
Vedo gli Italiani in larga misura responsabili e disciplinati di fronte al problema nuovo e considero i casi di indisciplina (che pure esistono e che devono comunque essere riassorbiti il più possibile ed affrontati con rigore), rappresentativi di una minoranza di italiani ed italiane. Una minoranza persino naturale, se osservata nella fisiologia del processo democratico, un processo appunto per sua stessa definizione complesso e difficilmente unanime.
Un primo dato che potremmo trarne è il seguente. La democrazia italiana, salvo come detto pochi casi, ha dimostrato e sta dimostrando di resistere grazie al senso di responsabilità che gli italiani e le italiane stanno praticando quotidianamente. È una lezione democratica chiara ed è un messaggio fortissimo che l’Italia lancia a tutte le principali democrazie del mondo.
Un messaggio che potremmo riassumere così, senza troppi giri di parole ma con la capacità di andare al senso profondo delle cose. E cioè: di fronte alla esistenza di un problema di portata epocale, abbiamo deciso, Noi italiani, di rimboccarci le maniche e stiamo affrontando il problema a viso aperto per risolverlo. Lo stiamo facendo partendo da noi stessi, dalla rinuncia responsabile alle nostre classiche abitudini, nella consapevolezza che facendolo stiamo offrendo un grande servizio civico. E lo stiamo praticando come hanno fatto i nostri amici cinesi prima e come mi auguro faranno i nostri amici europei (e non solo), dopo di noi.
In questo senso, hanno colpito le differenze tra paesi emerse in queste ultime settimane. Non che si tratti di una novità certo, ma ha colpito molto la sottovalutazione che l’Europa nel suo complesso ha mostrato rispetto al problema che veniva segnalato dalla voce allarmata di un paese fondatore che segnalava l’esistenza di un pericolo che metteva a rischio la vita di tutti. La voce di un paese, il nostro paese, mai come in questo momento storico ritrovatosi, suo malgrado, in prima linea a fronteggiare un nemico che ha però dichiarato guerra a tutti.
Ed i segni cominciano a vedersi dal dilagare dell’emergenza negli altri paesi.
L’Europa, in questo senso, ha purtroppo manifestato, ancora una volta, tutte le sue debolezze, fragilità e contraddizioni emerse negli ultimi decenni. È un fatto innegabile anche da parte di chi, come noi, ha sempre creduto ed ha sempre lottato per sostenere il processo di integrazione. Ma è un fatto dal quale comunque è scaturito un positivo cambio di atteggiamento e di linea politica che ha portato la Commissione europea ad assumere una posizione più consona al ruolo che svolge. Certo, non basta, ma si tratta di un fatto politico anche in questo caso.
Poi è del tutto evidente che dovranno in seguirne altri ed è anche chiaro a chiunque che giungerà il tempo, dopo la tempesta, per affrontare in quella sede tutte le evidenti criticità emerse nel processo di integrazione tra popoli.
Ma l’Europa rimane una prospettiva nella quale bisogna continuare a credere. Il tempo per una discussione vera e sincera verrà e questo attuale è il momento della pazienza e della resistenza.
Ma c’è un tema non più differibile che pure in questa fase bisogna iniziare ad impostare. È il tema del vuoto di leadership all’interno dell’Unione europea, divenuto ancora più evidente con il progressivo appannamento della leadership tedesca. Quel vuoto, che rappresenta uno spazio politico, può essere occupato dall’Italia e dalle proposte che la politica italiana potrà offrire al processo di rafforzamento delle politiche di integrazione.
In questo senso, bene ha fatto il governo ad accennare questo intento e bene sta facendo a praticare questo sforzo di condivisione del problema con gli altri paesi membri dell’Unione. È uno sforzo che si muove nella direzione giusta e nel senso di racchiudere tutto il significato della nostra battaglia politica. La battaglia politica di una sinistra che si candida autorevolmente, e partendo dalla realtà dei problemi, a tracciare una nuova linea, a rafforzare l’evoluzione dei processi storici, a individuare una strada nuova che possa essere più sicura per tutti.