Seguendo (letteralmente, di corsa, sempre) il caro amico Franco, e senza troppo riflettere ho imbarcato mia figlia di 22 anni, nata e vissuta a Bruxelles, in un’avventura che ci ha parecchio stropicciato.
Franco è un ex funzionario della Commissione, ora in pensione; deve essere caduto da piccolo in una pozione dal contenuto incerto ma efficace oltre ogni dubbio. Ha passato i 70 e non c’è modo di tenerlo fermo. Cosi, finita la vita attiva (quell’altra) ha deciso di fondare un’associazione “Cultura Contro Camorra” per sostenere gli sforzi di chi, in condizioni difficilissime, prova a strappare a morsi pezzi di territorio al degrado, alla disoccupazione, alla mancanza di futuro, alla criminalità che di quelle premesse si ciba. Il condimento è stato a lungo e ovviamente l’assenza delle Istituzioni, in ogni loro espressione. Queste sono cose note. Sulla carta. E’ che bisogna andare a vedere. Tutti dovremmo guardare e vedere. Solo che pochi lo fanno.
Il perché è presto detto. Ci si ferma alle apparenze e purtroppo (o per fortuna) Casal di Principe non è un paese da croceristi in cerca di bellezze da fotografare. Si tratta di un comune di circa 20.000 abitanti, totalmente pianeggiante a prevalente economia agricola, un dedalo di vie strettissime e altre un po’ più larghe. Salvo rare eccezioni, mancano i marciapiedi e quindi ci si muove per lo più in auto, la segnaletica a terra è sbiadita, tutto accade secondo un codice della strada non scritto ma logico. Mi sono abituata istantaneamente. Pensandoci ora, è stato il primo segno di una stregoneria.
Alcuni edifici sono fatiscenti, altri francamente incompleti. Sul far della sera il riscaldamento a legna e pellet ti fa raschiare la gola e pizzicare il naso. Qua e là, muraglioni nascondono cortili pacchiani di case private altrettanto stonate rispetto al resto. Sono le fu ville dei camorristi, adesso confiscate e gestite da cooperative sociali. Ne ho vista una che spiega tutto: c’è questo camorrista che si fa costruire la solita villa abusiva ma poi si rende conto che non c’è posto per il giardino (già questo non depone a suo favore, diciamo). Allora apre la porta di casa, getta uno sguardo sul crocevia – fra tre strade comunali – che si trova proprio di fronte ai suoi piedi e, folgorato dalla pensata, lo fa circondare da un muro di cinta ed ecco il giardino. Tre strade mozzate e lui impunito.
E’ ormai dalla metà degli anni ’90 che la gente di Casal di Principe ne ha abbastanza, la camorra aveva osato abbattersi persino su chi cercava ogni giorno di dare un senso alla libertà, alla speranza e al riscatto, sociale e culturale. A don Peppe Diana, trucidato in chiesa nel ‘94, è stato dedicato il giardino pubblico nel quale campeggia una bellissima scultura a vela e la scritta “Parlò di pace e di libertà… e volò altissimo”. Ci sono voluti quasi vent’anni però per eleggere un sindaco che la pensasse come lui. Non lontano c’è anche una villa confiscata che è diventata un Centro culturale e di aggregazione a lui intitolato dove spesso si ritrovano tutte le associazioni e cooperative che operano a Casal di Principe, e tutte mettono le persone al centro della loro attività. Nella settimana della mia permanenza ho assistito a un convegno in ricordo di don Diana, e abbiamo piantato un leccio in cortile, uno dei tanti che saranno posti in zona per contribuire alla riforestazione. Albero secolare, il leccio mette radici profonde e robustissime (fittonanti si dice), cerca e trova acqua anche laddove scarseggia, insomma è tosto. Mi sono di colpo ricordata di Wangari Maathai, premio Nobel keniota, leader non a caso di un movimento di riforestazione in Africa. E’ la presa di coscienza del collettivo che ci salverà, in tutti i sensi. Molti, troppi, pensano che lo sviluppo sostenibile possa ridursi a una spruzzata di verde sul modello capitalista e predatore (di tutto, persone, cose e natura) attuale.
Non a Casal di Principe.
Prendiamo la Nuova Cucina Organizzata. Nel momento in cui scrivo mi pare di poter dire che il concetto sia salvo, ma nelle ore della mia permanenza si stava consumando con crescente tensione l’incertezza sul futuro. Una cooperativa che funziona, un ristorante (ottimo devo dire) sempre pieno, ma debiti non saldati dalla solita pubblica amministrazione per le clamorose – ci torno fra un attimo – prestazioni socio sanitarie sembravano far temere il peggio.
E prendiamo i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite adottati nel 2015. Una nuova visione del mondo, un modo, il solo modo per salvare 7 miliardi di “Sapiens” sparati verso il 2030 senza esattamente sapere come ci arriveremo. Un intreccio di nuove politiche economiche, sociali, ecologiche che si alimentano fra loro, mettendo al centro non più la corsa alla crescita infinita e impossibile del PIL, ma un concetto più umano, più giusto e più durevole: il benessere per tutti.
La Nuova Cucina Organizzata si trova (come no) in una villa confiscata. Al piano superiore gli uffici e i laboratori anche per le scuole. Al piano di sotto la cucina e il bel ristorante. Una frase campeggia alla parete ed è frutto di una fortuita cooperazione a distanza fra Franco Basaglia e Caetano Veloso: “Visto da vicino nessuno è normale”. Perché NCO e amici (come si spiega ai bimbi che vengono per i laboratori sulla piramide alimentare: la Nuova Camorra Organizzata dei Casalesi è adesso la Cucina di tutti) lavorano i campi bio e a chilometro zero, cucinano, fanno il vino, servono ai tavoli, si curano la comunicazione avvalendosi di persone straordinarie (nel senso non ordinarie, e anche nell’altro senso). Persone alle quali in passato era stato fatto credere da famiglie complicate, dalla società, dal sistema sanitario “tradizionale” … di essere malate, pericolose, incapaci, mezzi umani e posso continuare ma no. Persone forse solo più sfortunate, che grazie al modello di Casal di Principe non vegetano in strutture sanitarie e artificiali imbottite di farmaci, che infatti sono stati ridotti dell’50%. I ricoveri psichiatrici si sono drasticamente piallati del 70%.
Adesso molti di questi per lo più ragazzi e ragazze sono autonomi, vivono in comunità, cioè insieme, con l’ausilio di amici che se volete nel vecchio mondo insostenibile si chiamano responsabili, operatori, accompagnatori, assistenti sociali… ma che hanno facce belle quasi quanto quelle degli straordinari di primo livello. Liberi di essere liberi.
Io non posso nominarli tutti. Ma penso al timido e professionalissimo Peppino, diventato suo malgrado il simbolo della NCO, che ora prenderà persino la patente del motorino. Penso a Pasquale, compagno vero con il quale ho scoperto di avere un mare di cose in comune, ma proprio tante. A Peppe, che mi ha fatto un mazzo così quando gli ho chiesto del possibile inquinamento originato dalla terra dei fuochi sui prodotti agricoli – ha ragione lui, al punto che sulle tag delle bottiglie Vitematta si può ricavare tutta l’analisi chimica e dei suoli, in tempo reale. Peccato che in altre latitudini non sia richiesto.
E poi c’è il sindaco, Franco Natale. Uno che viene da dove vengo io, politicamente, e che ci ha sempre creduto, e mi capirà se ricordo una frase di Gramsci: (…) Io partecipo, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, partecipo. Perciò odio chi non partecipa, odio gli indifferenti (…). Ultimamente gli indifferenti si sono un filo agitati ma non sono riusciti a negargli il nuovo mandato.
Hanno tutti condiviso tanto coinvolgendoci, le loro case si sono aperte con una semplicità che ormai si è fatta troppo rara, abbiamo conosciuto giovani volontari che si prodigano in tutti i modi possibili. Abbiamo dormito in una pulitissima struttura ricettiva nello stesso stabile con alcuni dei ragazzi speciali. Il portone è decorato a mo’ di murale e recita “basta che ce sta ‘o sole… siamo autosufficienti”.
Siamo andate anche a Napoli, mia figlia non c’era mai stata. Franco Cicerone. In treno da Casal di Principe (la stazione si chiama Albanova), comodamente sedute in carrozze locali pulite che nella mia Liguria di origine se le sognano. Il baretto fuori dalla stazione, un filo improvvisato, è stato occasione di chiacchiera e condivisione. Ah, dimenticavo (in realtà l’ho proprio dimenticato stando lì): razzismo zero. Orari dei treni: non ci ho capito nulla, non so se corrispondessero esattamente alle attese, ma è andata come con il traffico: sembrava tutto lì apposta per me.
Arrivati a Napoli abbiamo iniziato il giro dalle catacombe di San Gennaro. Se non ci siete mai stati, peggio per voi. Gestite da una cooperativa di giovani del Rione Sanità (il rione Sanità!) oltre a essere sorprendenti per ampiezza sono un altro segno tangibile che ce la si può fare. Al termine della visita si scosta una pesante tenda di velluto rosso ed eccoci in piena Sanità. Il resto è noto. Spero che un po’ di questi ragazzi ci vengano a trovare a Bruxelles, hanno promesso. Temo di avere bisogno di loro almeno quanto il loro progetto abbia bisogno di sostegno (ormai viaggiano sui 150.000 visitatori all’anno). Battersi per un modello di sviluppo diverso, da una scrivania di Bruxelles, a volte necessita di un po’ d’incoraggiamento, specie quando ti viene voglia di dare la testa nel muro.
Di ritorno ad Albanova il signore del bar improvvisato (faceva già buio) ci ha chiesto com’era andata la gita. Ognuno si ricorda i nomi di tutti.
Poi un altro giorno siamo andate alla Reggia di Caserta, e all’anfiteatro di Santa Maria Capua a Vetere. Insomma, se andate in quei posti, Casal di Principe non è lontano, e val la pena di passare almeno da NCO. Pranzando o cenando molto bene, ma soprattutto facendosi raccontare.
Ovviamente, come sempre in tutto, si può ancora migliorare. L’eccessivo peso della burocrazia, anche per attività cosi, che avrebbero bisogno di investire il massimo del tempo nel reale, è in parte responsabile. Io credo però che gli amici che ho incontrato dovrebbero sentire attorno il calore e l’interesse di altra società civile, di tante persone, di quella che dovrebbe essere la presenza delle Istituzioni anche europee, per poter far meglio. E per meglio intendo non chiudersi pensandosi non solo autosufficienti al rischio di diventare autoreferenziali ma, forti dei loro risultati, esigere di estendere il modello fuori dalla propria zona di conforto. Mi pare di capire che degrado e criminalità si siano spostati a due passi. Castel Volturno, per dirne una, è un ground zero dal quale ripartire. Potrebbe sembrare il supplizio di Tantalo. Ma non lo diventerà se noi tutti resteremo vigilanti, se non abbasseremo la guardia da quello che Casal di Principe 2020 rappresenta, e può rappresentare per il Paese e oltre.
Io, nel mio modesto piccolo, voglio impegnarmi proprio in questo.
Una delle aziende agricole, agriturismo e fattoria didattica sorto su un terreno confiscato si chiama Fuori di Zucca. Ecco. Ci vuole. Perché sono stata a Casal di Principe cinque giorni, ed è da fuori di testa sentire una specie di stregoneria, di mal del Paese da quando sono tornata (e, credetemi, ho viaggiato tanto). Io mi sa che ci torno, e pure presto.