Oggi Nicola Zingaretti apre una riflessione sul destino del Pd. Fino a ipotizzarne il superamento verso un soggetto nuovo della sinistra. Aperto e plurale. Ecologista e progressista.
Non compete a me entrare dentro il dibattito che si aprirà nel suo partito, nella discussione che lo attraverserà, nelle scelte che faranno.
So soltanto che da mesi la necessità di una “cosa” diversa da quella che c’è nel panorama politico è avvertita in maniera significativa da larghi strati del popolo della sinistra. Vive nelle piazze di tante città che sulla democrazia e sull’antifascismo si sono mobilitate e hanno riportato i giovani alla politica. C’è un bisogno di partecipazione e di cambiamento che oggi non riesce a incrociare un’offerta politica adeguata. E una sinistra di combattimento capace di rimobilitare energie e militanza.
Quindi, tutto quello che si muove – a partire dalle parole del segretario del Pd – merita attenzione e rispetto.
Io penso che sia il tempo di una discussione larga su cosa sia la sinistra oggi, nel tempo della destra montante che monopolizza la questione sociale e la brandisce contro i più deboli ed esclusi, fabbricando nemici immaginari e agitando capri espiatori.
Serve una sinistra che recuperi il primato della politica sul mercato, che rimetta al centro la pienezza dei diritti del lavoro – dopo gli anni maledetti della precarietà e del Jobs act – che si candidi a essere la forza propulsiva di una domanda di emancipazione e di libertà davanti al ritorno dei nazionalismi regressivi.
Dunque una forza decifrabile socialmente che prenda atto che la storia non è finita e che il terreno di lotta sta nel conflitto sociale e ambientale che attraversa le società mature.
E’ dentro questo spazio che va piantata la bandiera di una rifondazione della sinistra italiana.
Un processo costituente ha un senso se fa un bilancio degli errori passati e recenti e chiude i conti con l’illusione neoliberista che anche a sinistra in varie forme ha preso piede.
Ce lo dicono i tentativi che in giro per l’Europa provano a dare una risposta alla crisi del socialismo europeo, a partire dalla penisola iberica.
Perché il renzismo non è stata una parentesi caratteriale.
E’ stato un movimento che ha cambiato i connotati della più grande forza progressista del paese.
E non lo si supera esclusivamente con un restyling.
D’altra parte, qualcuno da un po’ di anni, talvolta in solitudine, talaltra contrastato e isolato, ha provato a dirlo e a esplicitarlo.
Senza conformismi e senza mettere davanti i destini personali, pagando il prezzo di decisioni dolorose individuali e collettive.
E meriterebbe – ma forse è chiedere troppo – persino l’onore delle armi, non l’ennesimo “non expedit” a mezzo stampa.
Una storia nuova dunque si scrive non con le rimozioni, ma con le svolte.
Quelle che incrociano le domande del tempo presente e le proiettano nei conflitti che verranno.
Vediamo se questa è la volta buona.