L’Assemblea nazionale di sabato si è conclusa con la votazione unanime della relazione del nostro segretario Roberto Speranza.
L’appuntamento è stata di importanza decisiva. Dopo più di due mesi dalla formazione del Governo, il lavoro sulla legge di bilancio, lo scampato pericolo dell’aumento dell’IVA, l’abolizione del superticket e l’aumento di fondi alla sanità grazie al lavoro encomiabile del nostro Ministro Roberto Speranza, la discussione si è incentrata su cosa è necessario fare per riconquistare quell’elettorato che non si riconosce più in alcuna casa politica.
Era doveroso affrontare, nonostante tutti gli aspetti positivi, la difficile situazione in cui si trova la sinistra tutta.
Vi è un serio problema di identità e di riconoscimento, problema che si presenta puntuale ad ogni appuntamento elettorale.
Il voto umbro ci consegna ancora una volta la fotografia della incapacità di intercettare l’elettorato popolare: questo o si rivolge a Lega e Fratelli d’Italia, oppure, in fuga dal Movimento 5 Stelle, si ritira nell’astensione.
E se un voto così numericamente ridotto come quello dell’Umbria non può costituire il banco di prova della prospettiva politica nazionale, è evidente che conferma un trend, chiamandoci con forza a uno scatto in avanti.
L’unica strada percorribile per uscire dalle sabbie mobili in cui ci troviamo è definire con chiarezza la nostra prospettiva politica, per riconquistare quel blocco sociale che proprio non rappresentiamo più: farci riconoscere per chi siamo e da che parte stiamo.
Più volte abbiamo detto che serve “radicalità” di pensiero, perché solo questa ci può distinguere da chi gioca a fare politica invece di impegnarsi per il bene del Paese.
Se siamo stati costretti a tagliare il numero di parlamentari e quindi la nostra rappresentanza è perché, nel sentire comune, i politici sono visti come una casta, interessati solo al proprio destino personale.
Noi, invece, siamo quelli che al centro del proprio agire pongono il contrasto alle disuguaglianze e alle ingiustizie, perché sappiamo che non vi può essere merito in una società ove le opportunità variano in base alle condizioni materiali di partenza.
Siamo quelli che rabbrividiscono a sentire frasi come: “A chi dice che tutti possono avere tutto, diciamo che il merito è di sinistra”, frase che lascia trasparire un secondo messaggio, molto più pericoloso, e cioè che “non tutti, però, possono avere tutto”.
Frasi che feriscono perché dimostrano come ingiustizia e diseguaglianze siano legittimate da un pezzo consistente della classe politica che, purtroppo, fa parte della stessa maggioranza di cui facciamo parte anche noi.
Queste considerazioni sono frutto di quel pensiero secondo cui va bene se il luogo dove sei nato e la famiglia di appartenenza contano di più di ogni tuo sforzo, e va bene se segneranno per sempre il tuo cammino.
In un mondo sempre più iniquo, dove gli oppressi sono migliaia e migliaia di volte il numero dei loro oppressori, noi dobbiamo dare rappresentanza ai primi.
Da una parte del mondo guerre dall’altra milioni di persone ridotte alla nuova schiavitù, che si nasconde dietro il dito del libero mercato. A guadagnarci sempre e soltanto una ristretta élite, il cosidetto “1%”.
L’oppressione del popolo curdo, il soffocamento delle richieste dei cittadini del Cile, le torture e le violenze in Brasile, il maltrattamento dei rifugiati in Libia, lo sfruttamento di migliaia e migliaia di cittadini, costretti a fare più lavori per arrivare a fine mese, i working poor, privati di ogni passione e sogno, hanno di fondo una sola causa: l’arricchimento dei pochi a scapito dei troppi.
E’ nostro dovere contrastare ciò e chi si fa portatore di tali interessi.
E’ nostro dovere portare avanti un’opposizione che prospetti un modello di società diversa.
In ogni parte del mondo, la maggior parte degli uomini e delle donne soffrono per una vita alla quale non sanno neanche come opporsi, perché privati di ogni strumento di ribellione.
E noi abbiamo gli strumenti per poter fare qualcosa. Li abbiamo sì, ma solo come collettività.
Singolarmente saremmo incapaci di sottrarci a questo gioco delle parti in cui maggioranza ed opposizione hanno una stessa visione della società, solo gruppi di potere differenti.
Per tale ragione dobbiamo aprirci a tutti coloro che hanno la nostra stessa visione di società per superare il freno delle sigle.
Alla serietà e alla credibilità che emerge dal nostro operato al governo dobbiamo unire un’agenda politica dirompente e chiamare a raccolta tutti quelli che si sono resi conto che c’è bisogno di qualcosa di nuovo.
Dobbiamo fare in modo che i quattro appuntamenti annunciati dal nostro Segretario siano ampi, aperti, plurali, partecipati – coinvolgendo anche chi ha condiviso con noi il percorso di LEU – con lo scopo di creare uno spazio di riflessione e approfondimento su programmi, idee e obiettivi nel medio e nel lungo termine.
Ha ragione Roberto, è giunto il momento del coraggio.