“Il pomeriggio del dodici dicembre in piazza del Duomo c’è l’abete illuminato; ma in via del Corso non ci sono le luci, per l’autunno caldo il comune le ha levate.”
Così inizia la ballata composta dagli Yu Kung, gruppo musicale militante milanese di quegli anni, che racconta il pomeriggio del dodici dicembre 1969, la strage di piazza Fontana a Milano, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Nonostante il freddo dell’autunno milanese quelle sono settimane molto calde, siamo nel pieno dell’autunno caldo e a Milano c’è caldo nelle fabbriche di Sesto San Giovanni, di Arese, della Bicocca; gli operai chiedono i rinnovi dei contratti, nuove tutele e iniziano a porre una grande rivendicazione di uguaglianza: l’inquadramento unico tra operai impiegati che sarà al centro del rinnovo contrattuale del 1972.
La punta di diamante di quella stagione di lotte e rivendicazioni sono i metalmeccanici che scuotono l’intero Paese da Milano a Torino, da Terni a Taranto; hanno al loro fianco il tumultuoso movimento degli studenti col quale iniziano ad incontrarsi, a stare dalla stessa parte.
La reazione non tarda a farsi sentire, a contrastare delittuosamente un imponente movimento popolare che unisce la classe lavoratrice ai figli della scolarizzazione di massa, in contemporanea con una serie di attentati di portata minore a Roma e Milano prepara ed esegue quella che nella storia del nostro Paese diventerà la madre di tutte le stragi: la bomba all’interno del salone della banca in pieno centro di Milano a due passi dal Duomo, un salone affollato per il mercato degli agricoltori.
Una bomba di grande portata che squarcerà in un cratere il pavimento e lascerà oltre a feriti e mutilati sui quei pavimenti divenuti nonostante la grande vampata più freddi del dicembre milanese 17 corpi esanimi.
Le sirene degli autocarri dei pompieri, delle ambulanze, delle auto di polizia e carabinieri squarciano l’atmosfera prenatalizia del cuore della città; la prima versione è quella del probabile scoppio di una caldaia, ma ben presto la caccia mirata trova un “colpevole”: l’anarchico Pietro Valpreda, “incastrato” dalla testimonianza del tassista Cornelio Rolandi che morì due anni dopo, e fu “trovato” anche un complice: Giuseppe Pinelli che “cadde” da una finestra della questura di Milano.
La bomba di piazza Fontana segna l’inizio di una nuova buia stagione del Paese, la stagione delle stragi, della “strategia della tensione” che passando attraverso la strage del treno Italicus, la strage di Piazza della Loggia a Brescia e la strage della questura di Milano culmina nella più sanguinosa azione terroristica il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna.
A distanza di cinquant’anni dall’inizio di quella voluta e pianificata stagione stragista ancora non tutte le verità sono venute a galla anche se si sa, e alcune sentenze lo hanno certificato, che furono il frutto di commistione tra pezzi dei servizi segreti e l’eversione nera in un gran minestrone che coinvolgeva il Sid, i Giannettini, i golpisti di ogni provenienza e i fascisti, i Freda e i Ventura e settori non secondari dello Stato.
Viene da lontano quella stagione, dal “rumore di sciabole” denunciato dal deputato PSI Anderlini alla Camera nel 1967 riferito al tentativo di golpe del generale De Lorenzo nel 1964.
La bomba di piazza Fontana fu uno spartiacque, fu l’inizio di una nuova epoca per il Paese, fu l’innesco di una stagione che vide come protagonista anche l’insensato terrorismo “rosso” delle Br e di Prima Linea, anch’esso largamente infiltrato dai servizi segreti, ma fu una stagione nella quale nonostante le difficoltà le battaglie del movimento operaio e degli studenti riuscirono a conquistare nuovi diritti.
A cinquant’anni da quel fragore che sparse morte nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura e che scosse il Paese sarebbe grave pensare che il passato lo si è buttato alle spalle.