C’era una volta il far west, dove la trasgressione delle leggi e la violenza erano elementi della vita quotidiana. Oggi, nostro malgrado, viviamo nel “far web”, un mondo che si anima e si sviluppa sui social media ed è anch’esso dominato dall’idea che in questo luogo virtuale tutto sia consentito, anche la trasmissione dell’odio e la manipolazione della realtà.
Flavio Alivernini, giornalista pubblicista ed esperto di comunicazione, ci fa entrare nel “far web” raccontandoci nel suo La grande nemica. Il caso Boldrini (People, pp. 160, euro 16,00) la storia vera della violenta campagna di delegittimazione a cui è stata sottoposta Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati dal 2013 al 2018 e attualmente deputata eletta nelle liste di Liberi e Uguali e da poche settimane passata al gruppo del Partito Democratico.
L’autore non nasconde di essere stato prima componente dell’ufficio stampa della Presidente Boldrini e adesso responsabile della sua comunicazione, in particolare quella rivolta al social; ma deve essergli dato atto di essere uscito a dare al lettore una lettura degli avvenimenti e una interpretazione dei comportamenti degli avversari politici assolutamente corretta, scevra da partigianeria.
Per riuscire in questa non semplice impresa, Alivernini ha scelto di far parlare i fatti attraverso la riproduzione integrale di decine post di facebook e di twitter grondanti di odio, minacce, aggressione verbali, notizie false, ancor più gravi e inaccettabili perché avevano come bersaglio una donna, peraltro mai impegnata in prima persona in politica fino alle elezioni del 2013, quando si candida ed è eletta nelle liste di Sinistra Ecologia e Libertà nella coalizione Italia Bene Comune, guidata da Pier Luigi Bersani.
Come annota nella sua prefazione Nicola Biondo, uno dei primi collaboratori di Gian Roberto Casaleggio nella gestione della comunicazione del M5s e oggi, dopo la sua uscita polemica, divenuto uno dei più attenti e documentati critici del cosiddetto “Sistema Casaleggio”: «Quello che avete in mano è la storia di un “safari umano”, con al centro del mirino una donna che non ha mai prestato il suo assenso a essere oggetto. E non di desiderio, ma di caccia, di odio, di furore cieco».
Sia ben chiaro, non che la lotta politica non abbia mai visto il dispiegarsi di campagne di propaganda virulente e di messaggi diretti a screditare i leader avversari e i loro sostenitori, ma con l’irruzione nella nostra vita dei social è stato realizzato un salto di qualità, in negativo, grazie anche all’anonimato, che deve far riflettere e preoccupare non poco.
Laura Boldrini è eletta Presidente della Camera il 16 marzo 2013. Ha un curriculum di straordinario livello, ma totalmente estraneo alla politica militante. Una scelta coraggiosa di innovazione, fortemente voluta dall’allora segretario del Pd, Bersani, che avrebbe dovuto essere vissuta con favore in primo luogo dai deputati del M5s, la grande novità anti sistema delle elezioni politiche appena svolte. E così fu, ma per poco. Il 29 gennaio 2014, la Presidente della Camera, di fronte all’ostruzionismo messo in atto dal M5s, è costretta ad assumere una decisione drastica, far ricorso a quella che in gergo parlamentare è chiamata “ghigliottina”, senza la quale il decreto Imu-Bankitalia sarebbe decaduto. In aula succede il finimondo e due giorni dopo, sul sito www.beppegrillo.it, allora l’organo ufficiale pentastellato gestito da Casaleggio, viene pubblicato un post dal titolo inequivocabile Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?, secondo Alivernini «un punto di non ritorno nelle strategie di comunicazione politica.Mai nessun avversario era stato messo alla gogna mediatica in questa maniera. (…) Se parliamo di hate speech in politica, quello è il momento in cui il dentifricio esce dal tubetto».
Più che il video che corredava il post, a rompere gli argini sono i commenti sessisti, violenti, minacciosi che non vengono rimossi volutamente dagli amministratori del sito, perché come spiega Casaleggio a Nicola Biondo – sono parole sue – che gli fa osservare la gravità del clima che si sta alimentando «Ma noi dobbiamo imparare a canalizzare il sentiment della rete. Oggi abbiamo sbagliato ma il risultato che ne è venuto fuori ci dice che la Rete è dalla nostra parte. È la rete che decide la reputazione delle persone. Per il futuro dobbiamo essere in grado di canalizzare questo sentiment senza apparire direttamente, governandolo».
Da allora Laura Boldrini diviene uno dei bersagli preferiti della strategia comunicativa dell’opposizione del M5s e con l’arrivo alla guida della Lega di Matteo Salvini anche di quella del Carroccio, o meglio della “Bestia”, la macchina di propaganda social funzionale ad alimentare la narrazione populista del nuovo corso leghista.
Anche in questo caso c’è un inizio: Salvini si presenta a uno dei suoi tanti comizi in compagnia di una bambola gonfiabile «dicendo ai suoi che era Laura Boldrini». Il bersaglio è individuato senza ombra di dubbio e la campagna d’odio può avere inizio.
Più sottile, ma di straordinaria efficacia comunicativa, è l’invenzione della definizione di “risorse boldriniane” con riferimento agli immigrati e ai clandestini, costruita stravolgendo il senso di una frase pronunciata da Laura Boldrini, con esplicito riferimento al contributo che gli stranieri regolari, che pagano le tasse e i contributi, danno alla formazione dalla ricchezza nazionale, al Pil.
Da allora qualsiasi atto di violenza e illegale compiuto da un migrante o da un straniero (di colore) in genere è automaticamente collegato dalla propaganda leghista (e non solo purtroppo) alle “risorse boldriniane”, senza che vi sia la possibilità di difesa per l’allora Presidente della Camera.
Dopo la sua uscita dal ruolo istituzionale, arriva, dopo poco, l’ora della controffensiva, perché libera dagli obblighi connessi con la carica, Laura Boldrini decide di far valere i suoi diritti contro chi, nascosto nell’anonimato del “far web” la stava diffamando e minacciando. Lo fa, come lei stessa racconta nel libro, per difendere l’onore di chi non è in grado di farlo, di quelle ragazze, ad esempio, che si vedono pubblicate sulla rete immagini intime di una relazione finita male e in alcuni casi non resistono al dolore e alla vergogna e si tolgono la vita o sono costrette a cambiare luogo di residenza.
Ed ecco che inizia un’altra storia, con vittorie significative nelle aule dei tribunali e la scoperta di un mondo, quello dei leoni da tastiera, composto da uomini e da donne, animati da un odio violento, spesso abilmente coltivato e manipolato grazie all’ausilio di fake news come quelle di inesistenti famigliari della Boldrini che grazie ai loro legami di parentela avrebbero stipendi talmente elevati da apparire inverosimili, ma ciononostante collezionano migliaia di condivisioni inquinando i pozzi dell’informazione.
Un libro, quindi, che ci aiuta a comprendere i meccanismi (spesso perversi) della comunicazione politica veicolata sul web e che richiama alla esigenza non più derogabile della sua regolamentazione proprio per porre un freno alle notizie false, ai siti che le propagano, alle campagne di odio e di violenza che inevitabilmente poi oltrepassano il confine della realtà virtuale per irrompere violentemente nella nostra quotidianità, non solo della politica.