Come fermare Salvini al Sud: tornare a essere popolari

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Dal profondo nord al profondo sud. Il tour balneare di Salvini ci racconta della capacità di penetrazione del leader leghista nelle regioni del mezzogiorno. Certo ci sono le contestazioni, come in questi giorni a Catania e Siracusa, ma non deve sfuggire il dato che molti meridionali hanno votato e si preparano a rivotare la Lega.

Sono giorni strani questi. È iniziata sui media e tra gli operatori della politica una frenetica fibrillazione pre elettorale che rischia di far svanire quel poco di capacità di analisi che è necessaria per impostare una qualsiasi strategia politica.

Analizzare le modalità di spostamento del consenso politico nelle regioni del Sud, che sono le regioni più povere e arretrate del paese, però, è un passaggio ineluttabile per chi intende agire la politica, soprattutto se intende farlo da sinistra.

Innanzitutto quando si parla di consenso politico nel Mezzogiorno vanno considerati almeno due soggetti: il ceto politico e le persone comuni. Non è una considerazione di poco conto in ragione del fatto che, nel bene o nel male, al sud, più che altrove, la politica è fatta di relazioni di prossimità, che nei casi peggiori sfocia nel più becero clientelismo, e in generale determina, ancora oggi, seppure in maniera diversa dal passato, la capacità dei “riferimenti” territoriali di spostare pezzi di consenso organizzato.

Negli ultimi anni il ceto politico è stato molto mobile, sicuramente più che in passato. Forse perché i “carri del vincitore” hanno cambiato rapidamente colore e segno. In Sicilia, per esempio, abbiamo avuto berlusconiani poi diventati crocettiani quindi renziani e oggi leghisti. Più complesso è stato salire sul carro dei grillini, ma tra le loro fila non è raro trovare qualcuno che viene da esperienze post-democristiane di diversa natura e colore. Con il ceto politico si spostano pure i voti, e i voti si sono spostati. Le ragioni di questi spostamenti sono chiare ed evidenti: stare dalla parte di chi comanda per ottenere sostegni e favori.

Le persone comuni, invece, con la fine dei partiti storici, ma anche con il superamento del bipolarismo, hanno di volta in volta sperato nel nuovo che avanza. Fu nuovo Renzi, erano nuovi i 5 Stelle, è nuovo Salvini. Le persone comuni, se volete il popolo, ma questa definizione va usata con cura, hanno la necessità di trovare un numero su cui scommettere nella speranza che “qualcosa cambi”.

Sembra una lettura semplicistica, ma resto convinto che sia quella corretta.

Di fronte a condizioni socio-economiche esiziali, all’arretratezza del sistema dei trasporti, alla fatiscenza di scuole e ospedali, alla qualità scadente dei servizi pubblici e, soprattutto, alla precarietà, allo sfruttamento e all’assenza di lavoro, le donne e gli uomini del sud, e della Sicilia, cercano un risolutore. E più le condizioni peggiorano più si è disponibili a fidarsi dell’ultimo imbonitore.

A chi sta male, e stenta ad arrivare a fine mese, poco importa della deriva autoritaria, dell’emergenza democratica, dello sfregio dei diritti umani o della questione ambientale. Chi ha fame, non solo di giustizia e di futuro, ma spesso semplicemente di cibo, si dà altre priorità e rischia di non capirci. Anzi non ci capisce proprio.

È la questione sociale il grande cuore malato del Mezzogiorno. È da lì che bisogna ripartire. Chi abita in una periferia degradata, non ha i soldi per i libri dei figli o non può curarsi a causa del costo dei ticket, non comprenderà le nostre discussioni sul governo di scopo o elezioni subito, sulla coalizione larga o stretta, sulle nostre infinitesimali divisioni.

Serve aggredire la drammatica questione sociale. Ripensando all’intervento dello Stato in economia, a tassare i patrimoni e le rendite dei più ricchi, a politiche di redistribuzione del reddito, all’universalità dei servizi pubblici essenziali.

L’unica risposta al populismo di Salvini, al di là di quando saranno le elezioni e con che schema saremo in grado di affrontarle, è tornare a essere popolari. Serve avere una visione di società, che sia sogno e utopia, ma anche la concretezza di proposte chiare e comprensibili.

Nella prima Repubblica, i tanti voti di PSI e PCI erano il frutto di questo radicamento nella società: da essi ci si sentiva rappresentati e da essi si attendevano risposte. Oggi, ci piaccia o no, Salvini è una risposta per i lavoratori e i piccoli imprenditori, per il ceto medio e le classi subalterne.

Se la Sinistra vuole tornare ad essere una risposta possibile deve ripartire dalla questione sociale e da quella farsi forza popolare.

Tutto il resto è noia.

Domenico Siracusano

Nato a Messina 27 Novembre 1974 militante e dirigente dei Ds e del Partito democratico. Dalla fondazione di Articolo Uno, svolge il ruolo di Coordinatore Provinciale di Messina e, da qualche mese, è Responsabile Organizzazione del movimento in Sicilia. Da sempre impegnato nel mondo dell'associazionismo sui temi della pace, dei diritti umani e della lotta alle mafie.