Ieri Articolo Uno ha tenuto un coordinamento nazionale che si è concluso in maniera unitaria dando un mandato a Roberto Speranza per avviare un confronto con Nicola Zingaretti e Riccardo Nencini per una lista comune e plurale del Pse in Italia. Un mandato pieno, per una operazione difficilissima e non scontata. Il segretario del Pd ha deciso di anticipare tutti e presentare il simbolo stamane insieme a Carlo Calenda. Un gesto che poteva essere evitato. Vedremo nei prossimi giorni come si svilupperà il dialogo con lui. La condizione per una lista unitaria risiede nella piena cittadinanza del nostro punto di vista, della nostra esperienza e della nostra cultura politica. Non siamo un orpello aggiuntivo. Non diamo nulla per scontato, dunque, anche se sarebbe un’occasione sprecata quella di non riunire le forze che appartengono al socialismo europeo e che vogliono un’Europa più giusta e solidale.
Aggiungo solo alcune brevi considerazioni:
1) non abbattiamoci: si è rimovimentato il campo e siamo tornati a essere pienamente centrali nel dibattito politico. Persino i risultati deludenti delle amministrative, dove la destra ha stravinto, dicono che la nostra organizzazione esiste. In Abruzzo, Sardegna e Basilicata la media del 4 per cento delle liste create da Articolo Uno ci dice che siamo piantati e radicati. Necessari per ricostruire un’alternativa vera alle destre. Non basta, ma è qualcosa. Questo significa che qualunque cosa sceglierà – nella sua autonomia – Articolo Uno avrà un peso, sia per il Pd sia per il resto della sinistra.
2) conta il simbolo – che va cambiato – ma conta anche il profilo della campagna elettorale. Il tema è cambiare l’Europa, non lasciarla così come è. Lo schieramento acritico degli euroentusiasti porta a un solo risultato: la vittoria degli euroscettici che si impadroniscono della questione sociale e la portano fuori da una dinamica democratica. Dunque, attenzione: serve un progetto in discontinuità vera rispetto agli ultimi anni, perché l’austerità è stata la benzina principale per il successo dei nazionalpopulisti.
3) il rischio che vedo è che si possa determinare un voto utile sul Pd che – pur non facendo granché sul piano del rinnovamento – crei l’illusione ottica della rimonta. Nel 2008 Veltroni liquidò così la Sinistra Arcobaleno. Perse comunque – e male – e la destra tornò al governo. Ma la trappola del voto utile chiuse per sempre lo spazio a una sinistra radicale consistente e non testimoniale. La cosiddetta separazione consensuale fu un disastro per tutti. Per una forza giovane come la nostra questo pericolo deve essere ben presente. Insomma, potrebbe capitare un Pd che incenerisce tutto quello che sta nel campo del centrosinistra raggiungendo una percentuale più alta del 4 marzo, ma senza avere comunque la forza di rappresentare una vera alternativa alla destra. Si riaprirebbe in ogni caso, il giorno dopo le europee, il nodo del rapporto innanzitutto con l’elettorato dei Cinque stelle e con le domande che esso pone in termini di giustizia sociale e di questione morale. Da lì non si scappa.
4) tanti nostri elettori – che lo scorso anno votarono LeU – sono andati alle primarie. Innanzitutto, per battere i due Matteo, quello di dentro e quello di fuori. Un sentimento che c’è con cui occorre fare realisticamente i conti. Un bisogno di unità e cambiamento che non può essere rimosso e che ci obbliga a discutere di alleanze. Avrei evitato tuttavia di riporre eccessive speranze nella forza politica di questo nuovo corso, ancora troppo condizionato dal passato recente persino nelle personalità che lo sostengono e lo animano. I processi sono più graduali e le rotture non si consumano nell’immediato. In poche parole: quando si chiuse la parabola di Blair nel Labour party non vinse subito Corbyn, ma arrivò David Miliband. Una persona seria, di sinistra moderata, che però non fu in grado di imprimere una svolta. E perse. La proposta di Zingaretti è più simile a quella di Miliband che a quella di Corbyn, al momento. Con Miliband si parla e ci si può alleare, ma farci un partito insieme è un’altra cosa.
Il 6 e 7 aprile a Bologna metteremo la prima pietra della ricostruzione dell’alternativa. Decideremo insieme la strada da intraprendere. Intanto chiudiamo una fase di provvisorietà del nostro progetto: dopo due anni ci trasformiamo in un partito. Autonomo e organizzato. Nessuno vuole entrare nel Pd. Altra cosa è una lista unitaria. La mia lettura è che tanto dipenderà dalla natura della svolta e dal riconoscimento della nostra specificità. Se questo non ci sarà – e le premesse non sembrano purtroppo buone – faremo quello che potremo. Con il massimo della coerenza e il massimo dello spirito unitario. Dobbiamo sapere che noi – come d’altra parte il Pd – siamo comunque dentro una transizione non breve e il ciclo della destra non lo interrompi con qualche svolta politicista. Il bisogno di una “cosa nuova” continua ad essere all’ordine del giorno. Oggi più di prima.