Un profluvio di articoli, servizi, inserti speciali, in ossequio al rito della ricorrenza. Comprensibilmente. Anche un film, diretto da Raoul Peck, con August Diehl. Non senza l’abusata citazione secondo la quale i fenomeni storici accadono sempre due volte: “La prima come tragedia, la seconda come farsa”.
Sì, sono trascorsi due secoli tondi dalla nascita di Karl Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883). Pochi altri autori hanno esercitato un influsso così ampio e profondo sull’epoca posteriore. Guardando in casa nostra, all’Italia, per esempio, i due principali esponenti del neoidealismo, per ragioni diverse distanti anni luce dal marxismo, hanno, tuttavia, avvertito entrambi, nei loro primi studi, pressoché contestualmente, l’esigenza di fare i conti con Marx: Giovanni Gentile con La filosofia di Marx (1899); Benedetto Croce con Materialismo storico ed economia marxista (1900).
Non solo. Marx è all’inizio di un processo di colossali trasformazioni storiche, non senza le implicite insidie dell’eterogenesi dei fini. Motore, nel Novecento, dei cambiamenti intervenuti nelle dinamiche, sociali e politiche, di intere aree del pianeta, non già, per la verità, laddove li aveva immaginati, nel cuore d’Europa, bensì nelle latitudini più arretrate, in Asia, in Africa, in America Latina. Con involuzioni che hanno portato a regimi dispotici.
Ma in che misura Marx può essere ritenuto responsabile dei travisamenti compiuti in suo nome? E’ condivisibile la posizione espressa da Simone Weil, la quale, a questo proposito – di Marx e del socialismo reale – ha spiegato che: “Uno Stato operaio non è mai esistito sulla faccia della terra, se non qualche settimana a Parigi, nel 1871, e forse qualche mese in Russia, nel 1917 e nel 1918. In compenso su questo sesto del globo, da quasi quindici anni, regna uno Stato oppressivo come qualsiasi altro e che non né capitalista né operaio. Certo Marx non aveva previsto niente di simile. Ma neppure Marx ci è caro quanto la verità” (Simone Weil, Prospettive. Andiamo verso la rivoluzione proletaria?, pubblicato su “La Révolution prolétarienne”, n. 158, 25 agosto 1933, trad. in Sulla Germania totalitaria, Milano, Adelphi, a cura di Giancarlo Gaeta, 1990, p. 170).
A duecento anni dalla nascita è opportuno guardare a Marx collocandolo nel suo contesto storico, con piena coscienza degli errori commessi in suo nome.
Lo scrittore Stephan Hermlin, nel romanzo autobiografico Crepuscolo (trad. it. di M. L. Roli, Milano, Feltrinelli, 1983), ha raccontato come da ragazzo, a tredici anni, ebbe modo, per caso, di leggere il Manifesto del partito comunista e come lo abbia colpito, più del contenuto, lo stile, quasi si trattasse di un testo letterario. Per tutti gli anni successivi, dopo ogni lettura, conservò, nella memoria, un passo, convinto di aver letto bene. Diceva: “Il libero sviluppo di tutti è la condizione per il libero sviluppo di ciascuno”. Solo più tardi si rese conto, con stupore, che, in realtà, esso dice che: “Il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”. Esattamente il contrario.
Credo sia opportuno sottolineare le profonde radici europee di Marx. In lui si dà il recupero del materialismo dal pensiero greco antico (la sua tesi di laurea a Jena ha come titolo Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro); la critica alla dottrina economica inglese; il rilievo della rivoluzione francese; la filosofia classica tedesca, sino al culmine di Hegel.
E’ da questa ricchezza di prospettive che si definisce l’accento originale del suo approccio storico e dialettico. La vicenda umana vista dal punto di vista dei rapporti economici di produzione.
Nello stesso tempo è auspicabile una rilettura finalmente disincantata della sua opera, a dispetto di una vulgata che, da un lato, lo ha monumentalizzato, dall’altro, lo ha assunto come un pregiudiziale bersaglio polemico. Prendendo congedo da ogni visione precostituita. Una riforma luterana del marxismo, con un ritorno alla scrittura, superando i numerosi chierici, variamente interessati, che si sono frapposti tra i suoi scritti e la loro ricezione.
Non occorre dirsi marxisti – né post, né neo – per confrontarsi con Marx.
Secondo Paul Ricoeur, com’è noto, insieme a Nietzsche e a Freud, Marx farebbe parte della cosiddetta scuola del sospetto, nell’attitudine a non limitarsi a prendere atto di ciò che appare, nell’esigenza, piuttosto, di investigare la struttura profonda che spiega l’agire sociale. Come nel tentativo di svelare un arcano, a partire dalla forza metamorfica del lavoro.
“E’ chiaro come la luce del sole – scrive Marx – che l’uomo, con la sua attività, cambia in maniera utile a se stesso le forme dei materiali naturali. Per esempio, quando se ne fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata. Ciò nondimeno, il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria. Appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta con i piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare” (cfr. Karl Marx, Il capitale, intr. di Maurice Dobb, Libro primo, a cura di Delio Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 103). Può sorprendere questo modo di esprimersi, ma è lo stesso Marx a proporsi di svelare quel che chiama l’arcano, l’arcano della forma nuova che assume la merce, la quale consiste nel fatto che “tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro” (p. 104). Sicché, “il valore non porta scritto in fronte quel che è. Anzi, il valore trasforma ogni prodotto di lavoro in un geroglifico sociale” (p. 106). Da tradurre, decifrare.
In questo modo la “determinazione della grandezza di valore mediante il tempo di lavoro” si trasforma in qualcosa di “arcano, celato sotto i movimenti appariscenti dei valori relativi delle merci” (p. 107). Un valore conteso tra capitale e lavoro, ecco l’arcano che Marx ha contribuito a svelare. Qualcosa che può aiutarci a interpretare, nonostante il tempo trascorso, quella realtà economica, che egli ha saputo cogliere all’inizio, siccome, in quell’inizio, era il senso del suo sviluppo possibile.