Il lavoro è il nostro orizzonte valoriale, la nostra scelta di campo. Il Primo maggio ce lo ricorda. Una festa e un impegno, da rinnovare ogni giorno. Il lavoro come autonomia. Come emancipazione. Come riscatto. Come dignità. Come contributo di ciascuno alla trasformazione sociale del mondo. Specie in un Paese che, senza giustificazioni, vanta un primato negli incidenti e nelle morti sul lavoro. Un’indecenza, nonostante la legislazione, a causa della sua mancata applicazione.
I padri costituenti hanno voluto collocare il lavoro all’inizio e al centro, pensandolo come fondamento della Repubblica. Con un esplicito riferimento ai lavoratori nell’articolo 3, quello di non discriminazione. Così il comma 2: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
I sindacati esplicitamente riconosciuti (articolo 39). Anche per questo nella cultura politica del Paese va recuperato il rispetto per il loro ruolo. Negli ultimi anni ha prevalso la rottura dell’intermediazione, a partire dalla marginalizzazione dei corpi intermedi, in un Paese che ha sua ricchezza, invece, nella varietà dell’auto-organizzazione civile e sociale. Sindacato non significa solo negoziazione salariale; ma anche diritti, partecipazione, democrazia nel lavoro, civiltà del lavoro.
Secondo Marco Revelli “in circa un ventennio, una quantità oscillante tra gli otto e i dieci punti percentuali di Pil” si è “spostata dal ‘monte salari’ al ‘monte profitti’: una cifra enorme, che per l’Italia equivale a circa 120 miliardi di euro annui, non più presenti nelle buste paga dei lavoratori (come sarebbe avvenuto se la ripartizione fosse rimasta quella originaria) e passati nella disponibilità delle imprese (che spesso li hanno impiegati nel circuito finanziario più che per investimenti produttivi)” (cfr. Marco Revelli, Populismo 2.0, Torino, Einaudi, 2017, p. 150).
La forbice della diseguaglianza si è allargata. In tal modo l’esercito dei perdenti tende ad affidarsi a ciò che trova nel mercato elettorale, purché capace di dar voce alla rabbia con un’immagine, per quanto illusoria, di diversità. L’elettore scettico e non più fedele, il 4 marzo, come sappiamo, si espresso a favore di M5s e Lega.
Per la verità, già qualche anno fa una ricerca promossa da Itanes (Perché ha vinto il centro-destra. Oltre la mera conta dei voti: chi, come, dove, perché, Bologna, il Mulino, 2001) ha mostrato come il voto operaio abbia cominciato a orientarsi altrove, dalle elezioni del 1994 verso il centrodestra, e poi, da quelle del 1996, verso Forza Italia, in una misura rilevante sino al 30,6%. Questo per dire che le difficoltà della relazione vengono da una storia profonda e che, per promuovere un’inversione di tendenza, occorrono pensieri lunghi, ben impostati nello studio e nell’approfondimento, solo così possono scaturirne politiche serie e credibili.
Alle forme classiche del lavoro va aggiunta quella autonoma, che oggi rappresenta una delle componenti essenziali della forza-lavoro postindustriale, contribuendo a definire la dimensione di una nuova composizione sociale. Secondo la distinzione proposta dall’economista Colin Clark, da un lato, vi è un settore primario, quello dell’agricoltura; dall’altro, un settore secondario, quello dell’industria; infine, un settore terziario, quello dei servizi. Il quale, nel corso del dopoguerra, non ha smesso di ampliarsi. Questo non deve significare trascurare l’esigenza di dotare il Paese, la seconda manifattura d’Europa solo dopo la Germania, di una politica industriale all’altezza delle sfide del nostro tempo.
Chiudo sul lavoro pubblico, settore nel quale è in atto un vero e proprio stillicidio, iniziato con Brunetta, proseguito con Madia (della cui riforma è rimasto il residuo consentito dalle obiezioni della Corte costituzionale). Con fenomeni di pregiudizio sorprendenti, quanto immotivati, ovvero non sempre motivati. In Emilia-Romagna, di recente, si è dovuto assistere a un’amministrazione al traino di una trasmissione televisiva nel muovere addebiti a un certo numero di dipendenti dell’Istituto per i Beni artistici culturali naturali, per poi arrivare alla richiesta di archiviazione, relativamente ai profili penali della vicenda, da parte della stessa Magistratura inquirente; circostanza che la dice lunga su come sia messa, oggi, anche a latitudini dotate di importanti tradizioni, la cultura delle istituzioni.
Insomma c’è tanto da fare, specie per una forza che intenda guardare al mondo del lavoro, comprendendone i bisogni, assumendo, a partire da essi, un indirizzo politico e programmatico. Buon Primo maggio.