Personaggi come Luca Traini, malmostosi e violenti odiatori del diverso animati da pulsioni xenofobe, ce ne sono ovunque. Si tratta nella maggior parte dei casi di anonimi cittadini, lividi detentori di verità assolute che esercitano la loro avversione nei confronti dello straniero attraverso l’adesione a gruppi di stampo razzista o adottando comportamenti improntati alla discriminazione nei piccoli gesti della quotidianità. Ovviamente la quasi totalità di essi non porta alle estreme conseguenze i desiderata di morte ed eliminazione fisica, perché intimoriti dalla legge. Altri invece, più incuranti delle conseguenze legali di azioni di questo tipo, trattengono i loro istinti belluini perché mancanti di un elemento identificativo, un’insegna sociale entro la quale poter sdoganare i liquami che scorrono nei meandri del loro animo. Pochi, infine, oltrepassano quel confine che divide la parola violenta dal passaggio all’atto, quando si creano determinate condizioni socio – politiche, ponendosi come ‘martiri’ o sodali di una causa al servizio della quale desiderano immolarsi.
Luca Traini è solo l’ultimo di una serie di casi di violenza a stampo razzista. La modalità di azione vista nella tentata strage di Macerata ricorda da vicino le gesta di Gianluca Casseri che nel 2011 a Firenze uccise brutalmente due uomini nativi del Senegal, per poi togliersi la vita braccato dalle forze dell’ordine. Un amico delle vittime gridava alle telecamere della tv locale: “Non era matto! Se no, avrebbe sparato anche ai bianchi!”, mostrando un occhio clinico non indifferente. In entrambi gli episodi l’obiettivo dei due esecutori erano i ‘neri’, oggetto di odio da eliminare, il Migrante nella sua interezza, colpito uccidendo alcuni dei componenti della comunità incontrati per strada. Un Altro da annientare falcidiando simbolicamente alcuni dei suoi appartenenti. Non si tratta di ‘raptus omicida’, categoria clinica priva di consistenza, quanto di un intreccio tra la torsione paranoica dell’animo umano che si coniuga con l’obbedienza a un “ordine di appartenenza” gruppale al quale i killer si sentivano indissolubilmente legati.
L’odio è una passione dell’animo umano che trova il brodo di coltura nel clima di paura che ciclicamente le società si trovano ad attraversare. Passione che scivola sovente nella sua declinazione peggiore, quella paranoica, soprattutto quando il momento culturale ne favorisce lo sviluppo. La paranoia è un meccanismo psicologico, che si può trovare sia nella nevrosi che nella psicosi. Nel primo caso parliamo di stile paranoico, atteggiamento sospettoso, diffidente, tendenza a pensare che qualcuno trami alle nostre spalle. La caratteristica di persone e gruppi di tal fatta è l’aggressività, la chiusura, l’autoreclusione dentro a luoghi dai quali lanciare invettive, colpire, attaccare il bersaglio eletto a causa dei pericoli percepiti come da lui provenienti. Il nemico diviene la ragion d’essere questo tipo di personalità la quale, privata di questo, è a rischio scompenso. Nello stato grave di psicosi paranoica, stato che segna una frattura con la realtà, abbiamo a che fare con deliri, l’assurgere di queste convinzioni a verità non confutabili che orientano l’agire di ogni giorno. Ecco allora la presentificazione del nemico, sempre più causa di sventure e portatore di ogni nequizia. Tanto più la società del momento offre una sponda a questa prospettiva tanto più si compie la distorsione persecutoria della visuale di costoro che trasforma il diverso nel ricettacolo di ogni male, tramutandolo nel bersaglio verso il quale si esercita la violenza, la segregazione e la eliminazione.
Casseri e Traini si sono al contempo fatti oggetto della volontà dell’Altro, annullandosi in nome di una causa alla quale si era totalmente dati e offerti come docili servitori: la difesa della razza. Un’obbedienza in nome della quale, insegna Lacan, il perverso si tramuta in mero esecutore di ordini privo di capacità critica e senso di colpa, una normale macchina dell’orrore. Casseri e Traini hanno voluto infliggere un colpo alla comunità migrante, volendo angosciarne gli appartenenti con la loro minaccia immanente. ‘Il sadico vuole suscitare l’angoscia nell’altro’, infatti non viene cercata tanto la sua sofferenza, quanto la sua angoscia.
Difficile non ricordare la vicenda di Hans Breivik, il mostro del nord Europa, il serial killer che ha scambiato l’isola di Utoya per un qualsiasi parcheggio di una qualunque ‘Mall’ statunitense dove sparare alzo zero sui passanti. Sano di mente e condannato a una pena da molti ritenuta mite. Un pluriassassino cinico e feroce, con evidente struttura paranoica, una macchina con una facilità impressionante di passaggio all’atto, privo di qualsiasi brandello di senso di colpa, con la delirante convinzione di essere depositario di un qualche ruolo messianico di ‘pulizia’ dell’Europa da ogni infiltrazione barbaro islamica. Breivik è un figlio di questa società attuale, in perenne ricerca di un nemico, impoverita, infastidita della legge e avvezza al capriccio, incapace di indagare le cause profonde del disagio del proprio territorio, che preferisce delocalizzare e individuare nel diverso di turno il capro che le può permettere di rimandare sine die i conti con quello che non va nel proprio corpo sociale. Breivk era un uomo nel bunker: ruminatore odio per il diverso, per il migrante, per colore e religioni diverse. Nemico di tutto quello che, nel suo malato sentire, non era controllabile e dunque foriero di disordine.
Ma il ghignante nordico non è estraneo al nostro discorso sociale, e prima lo si metabolizza, meno ipocrisie racconteremo ai posteri. I disabili ai quali noi rubiamo il parcheggio, i migranti eletti a causa di ogni possibile sventura (dalla crisi economica, alle malattie, agli stupri, al lavoro mancante), i vagoni dei treni disinfettati. I disperati ricacciati a morire nei campi libici, i bambini affetti dalla sindrome di down ai quali è negato l’accesso in alcuni bar. La capillare e pervicace campagna dei media nel tinteggiare ogni abitate del medio oriente come terrorista o amico di terroristi. Breivik ha semplicemente incanalato tutto questo liquame in un canale fognario più ampio, erigendo se stesso a bastione per difendere una presunta e incontaminata civiltà. Lui, Traini, Casseri, sono figli del nostro tempo, che recano il marchio di una verità. La verità di non essere fuori contesto, sganciati dal legame sociale. La verità di essersi fatti portavoce violenti, senza che nessuno lo richiedesse, di un sentire comune che avanza da tempo in Europa: l’odio per il diverso.
E’ dunque bene che i populisti e i razzisti, e i media consenzienti, sappiano che agitare in maniera indiscriminata la miccia dell’odio può innescare ordigni letali e dormienti, che altro non aspettano che un segnale per imbracciare l’arma del loro rancore e colpire il nemico da tempo immemore coltivato nei loro opachi cuori.