Negli ultimi tempi è emerso un fenomeno nuovo tutt’altro che positivo: quello che qualcuno, in sede di dottrina penalistica, ha chiamato populismo giudiziario. Nella legislatura appena conclusa, alcuni esempi. Il decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116, chiamato anche Giletti, in quanto suggerito da una puntata del programma L’Arena. Una norma pensata ad hoc per rispondere all’escalation dei furbetti del cartellino. Giusto punirli: ma la legislazione già lo consentiva. Oppure il nuovo reato di omicidio stradale (legge 41 del 23 marzo 2016), che, a quasi due anni dalla sua promulgazione, non appare abbia garantito risultati pari alle attese. Si continua, in tal modo, a preferire la strada del consumismo normativo; mentre, in un testo curato da Sabino Cassese, quasi un quarto di secolo fa, si sottolineava, con chiarezza, come “in Italia vi sono circa centocinquantamila leggi vigenti, contro le settemila della Francia e le cinquemila della Germania”.
Lo Stato autorevole non produce una farragine legislativa; questo lo fa uno Stato confuso; uno Stato ordinato offre un quadro chiaro di regolazione della vita sociale cui corrispondono sanzioni che lo Stato è in grado di somministrare. Non serve produrre leggi ulteriori in un’escalation incrementale senza fine; più utile fare rispettare le leggi esistenti, a partire da quella fondamentale, la Costituzione. La buona politica, in un Paese come il nostro, deve produrre le leggi necessarie, per esempio a favore dei diritti sociali, settore nel quale sono carenti, e, quanto al resto, delegificare. Legiferare meno, legiferare meglio.
Per non dire della brutta pagina della giustizia fai da te, a dispetto dell’istituto della legittima difesa. La pena di morte è sempre stato un tema della destra. Nel Paese di Cesare Beccaria e Dei delitti e delle pene (1764), mai dimenticare che la Toscana è stato il primo Stato preunitario ad accogliere, nel Codice penale del 1786, quei principi. Ad abolire non solo la tortura, anche la pena di morte, mentre veniva riconosciuto all’imputato il diritto alla difesa e venivano rese obbligatorie le motivazioni delle sentenze. Pena di morte poi di nuovo abolita dal Codice Zanardelli nel 1889; per essere ripristinata dal fascismo con le leggi speciali del 5 novembre 1926. Successivamente, un cavallo di battaglia del Msi di Giorgio Almirante. Idea aberrante. Ma, ancor peggio, se possibile, la privatizzazione della pena di morte, il Far West, grillettopoli, proposto, oggi, da alcune forze di destra, come la Lega, ma non solo. Mettendo in testa alla gente idee sbagliate, in tal modo rendendole vittime due volte: prima del tentativo di un furto, poi di lunghi e costosi processi.
Non va trascurata la circostanza che, sul tema del superamento della legittima difesa, in Parlamento non sono mancanti dibattiti degni di miglior causa; ovvero: senza capo né coda (la famosa “licenza di sparare di notte”); e che hanno coinvolto lo stesso Pd. Sono tutti segni di debolezza della politica, la quale pensa di evidenziare il proprio ruolo non già rendendo più credibile l’interlocuzione con la cittadinanza, ma demandando alla ridondanza di norme la risposta alle domande sociali. Non bisogna sottovalutare l’attesa di giustizia, perché sia soddisfatta a partire dalla certezza dalla pena, tenendola, però, ben inserita in un quadro di legalità che riguarda l’ordinamento e i principi costituzionali che rimandano alla funzione rieducativa della pena.
C’è poi l’incredibile tendenza all’abuso dell’inglese – il nuovo latinorum – dal Jobs Act al Freedom of Information Act. Anche qui, un po’ più di rispetto per i cittadini, oltre che per la lingua italiana, non guasterebbe. Per non dire della trasformazione del testo legislativo in uno strumento di propaganda politica. Va per la maggiore questo giro di frase: “Senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, di cui è infarcita la legge 107/2015, detta, con altra suggestiva denominazione, Buona scuola. Si prenda uno dei decreti legislativi che ne discendono come il n. 65 del 13 aprile 2017, Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13 luglio 2015, n. 107. Troviamo scritto così: “Art. 1. Principio e finalità 2. (…) viene progressivamente istituito in relazione all’effettiva disponibilità di risorse finanziarie, umane e strumentali, il Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i bambini di età compresa dalla nascita fino ai sei anni”. Progressivamente istituito, non come dovrebbe, a far data dalla pubblicazione delle legge in Gazzetta Ufficiale, ma in relazione all’effettiva disponibilità di risorse finanziarie, umane e strumentali? Quindi: quasi istituito. Domanda: occorreva scomodare la maestà della legge? Non bastava un volantino?