Dalla propaganda alla comunicazione consapevole: un altro “mai più” da ricordare

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Celebriamo ogni anno il Giorno della Memoria dicendo Mai più. Ma, quando lo diciamo, non pensiamo solo alla storia. Non si tratta soltanto di opporsi a una mera replica del fascismo o del nazismo che si presenti come tale. Questo Mai ci consegna un compito ancora più difficile da svolgere: trovare nel nostro presente i vecchi semi totalitari adattatisi al mondo di oggi.

Guardiamo alle origini del nazismo. Sappiamo che nessuno fu immune da responsabilità nella creazione di un ambiente favorevole al suo avvento: arte, scienza, cultura, nessuna branca del sapere potrebbe chiamarsi fuori. Tanto meno il mondo della comunicazione, che in quella tragedia ebbe parte.

Come comunicatore, perciò, osservo quel periodo storico non solo per ricordare e condannare, ma anche per guardare al mio ambito sotto questa luce. In Mein Kampf, il libro nel quale Hitler spiegò la sua visione, si trovano indicazioni precise al riguardo. (…) Tutta la propaganda deve essere presentata in una forma popolare e deve correggere il suo livello intellettuale (…) il potere ricettivo delle masse è molto limitato e la loro comprensione è debole.

A questa concezione del pubblico fa eco un secondo precetto: Questi slogan devono essere ripetuti con insistenza fino a che anche l’ultimo individuo venga a cogliere l’idea che gli è stata messa davanti. Abbiamo qui due punti forti: la sottovalutazione del pubblico e il martellamento mediatico. Ora, mi domando quanta della comunicazione oggi prodotta in Italia sfugga a queste due semplici regole. Se sappiamo di aver fondamentalmente accettato quella concezione.

Questo non vuol dire certo che ogni comunicatore oggi sia un nazista in nuce. Significa piuttosto che manca una riflessione sull’uso democratico dei mass media. Eppure la storia della comunicazione è anche storia di pratiche alternative radicali e straordinari esempi di democrazia realizzata.

Il più grande cambiamento impresso alla logica totalitaria della comunicazione, per esempio, arrivò proprio da un ebreo: William “Bill” Bernbach, il primissimo jew titolare di agenzia nell’America del 1949. Il quale, per un contrappasso storico irripetibile, stabilì la sua visione alternativa con una campagna ideata per la Volkswagen, l’auto del popolo a suo tempo voluta da Hitler.

 

Bernbach creò la figura di comunicatore consapevole. Mandò in soffitta l’idea di un pubblico da imbonire, affermando invece l’esistenza concreta di una platea reattiva, che ti giudica, alla quale si deve verità e rispetto, pena l’irrilevanza. E poiché la comunicazione è una relazione umana, il martellamento diventa superfluo. L’efficacia vera è nel senso, non nella pressione mediatica.

Bernbach demolisce l’impostazione autoritaria, il pulpito dal quale i poteri amano diffondere i propri messaggi. La sua rivoluzione fu l’evento principale del novecento per la comunicazione e tuttora ispira legioni di autori in tutto il mondo. Visto oggi, il suo è anche un modo potente per dire Mai Più.

Giuseppe Mazza

Copywriter, dopo dieci anni in Saatchi&Saatchi e Lowe Pirella ha fondato Tita, la sua agenzia. Dirige Bill Magazine, la rivista italiana di studi sul linguaggio pubblicitario. Ha pubblicato "Bernbach pubblicitario umanista" e "Cose Vere Scritte Bene" (Franco Angeli). Ha scritto per Cuore, Comix, Smemoranda, Il Venerdì.