Molta stampa autorevole ha lanciato un endorsement pieno di simpatia in favore della candidatura di Paolo Gentiloni alle prossime elezioni politiche nel collegio di Roma centro, come erede e continuatore-perfezionatore dei successi dei “mille giorni” renziani. Continua così la costruzione prosopografica dell’attuale Presidente del consiglio come il prosecutore gentile del suo ben altrimenti brusco antesignano e, insieme, si rinnova l’imperativo categorico a non interrompere una politica tanto ricca di risultati, certo ancora teneri e bisognosi di attenzioni, ma, se giustamente curati, di sicuro immancabili.
Come è naturalmente inevitabile si mettono da parte, e in sordina, alcune note che stonano rispetto a questa vulgata: le reiterate fiducie poste sul Rosatellum, la rinuncia a ogni battaglia sullo ius soli, la difesa della sottosegretaria Boschi sui fatti di Banca Etruria, la politica migratoria in Libia e nel Niger. Tutte prese di posizione, si dirà, dovute e alle quali era assai difficile per Gentiloni sottrarsi, ma appunto testimonianze di quanto evanescente sia in verità l’immagine dell’attuale capo del governo, dietro la quale si affaccia ancora ben presente quella di Renzi con la sua spicciativa politica sintetizzabile nel motto: “Aiutiamoli a casa loro!”. In fondo è un gioco illusionistico di specchi: una immagine rimanda all’altra e, insieme, compongono un quadro che l’elettore del Pd può infine ancora prediligere, scegliendo, secondo le proprie personali inclinazioni, il poliziotto buono o quello cattivo.
La recente intervista del Presidente del consiglio alla Cnbc a Davos definisce meglio questo quadro e, comunque, la piattaforma elettorale con la quale Gentiloni si presenta al giudizio degli italiani. Nessuna ambiguità. Non sarebbe interessato – egli ha detto – a formare una coalizione con un centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, mentre un esito di stallo post elettorale sarebbe assai negativo, esiziale, per il paese. In ogni caso il centrosinistra, rappresentato in primis dal Pd, sarà il pilastro di una possibile futura coalizione pensata in funzione antipopulista. Berlusconi non è malato di populismo, secondo il Gentiloni-pensiero, anche se occorre prendere atto che populisti e antieuropeisti nella coalizione dell’uomo di Arcore non solo sono presenti, ma predominanti. Le parole vanno soppesate una a una e il senso è chiarissimo: Berlusconi guida una coalizione di populisti, Berlusconi non è populista, dunque un accordo con lui, dopo che abbia buttato a mare Salvini e Meloni, è sempre possibile, stante lo stallo post elezioni, il male peggiore.
Ironia della storia. Paolo Gentiloni sembra destinato a ripercorrere a parti invertite quanto fu capace di compiere nell’ormai lontano 1913 il suo illustre avo, il conte del Sacro Romano Impero Vincenzo Ottorino Gentiloni, ma soprattutto capo della Unione elettorale cattolica italiana. Eponimo del famoso patto concluso con i liberali di Giovanni Giolitti in funzione antisocialista, il vecchio Gentiloni ottenne la revoca nel non expedit (il divieto papale per i cattolici di partecipare alle elezioni politiche) in cambio di alcune concessioni programmatiche segrete tra le quali l’impegno a non introdurre il divorzio in Italia e il finanziamento alla scuola privata, per lo più cattolica. In tal modo alcuni “deputati cattolici” entravano per la prima volta in Parlamento, ma in modo subordinato, per la porta di servizio e come ascari del “partito” liberale. Adesso Gentiloni junior sembra proporre un simile patto di sopravvivenza al risorto Mago di Arcore: “Contro il pericolo populista, spògliati – egli sembra suggerirgli – dei panni della demagogia, sia pure dopo le elezioni, e pensiamo a salvare il salvabile in nome della stabilità, delle riforme da proseguire e dell’Europa”.
L’intenzione è soltanto all’apparenza apprezzabile. Mostra già la corda di una politica dal cortissimo respiro, che già si involve in tutte le sue contraddizioni, quelle del vicolo cieco nel quale da se stessa si è cacciata. Il Pd per sopravvivere alla sua politica si vede costretto ad auspicare un patto col Diavolo e cioè, pur di salvare la vita, a perdere ogni ragione di vivere.
Un simile triste destino deve preoccupare le forze di sinistra perché sterilizzerebbe le energie che ancora albergano in quel partito, ma rattrappite e congelate in una prospettiva asfittica e negativa. Sta agli elettori testimoniare con un sostanzioso voto a sinistra, con un largo consenso tributato alle liste di Liberi e Uguali, la volontà di un’alternativa che disincagli la politica italiana dalle secche nella quale la politica del Pd ha sciaguratamente condotto il paese.