La fiducia nelle parole, il lievito madre della democrazia

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La definizione di lievito madre è affascinante: un composto semplice, da tenere in vita con attenzioni costanti, grazie al quale produrre impasti sempre nuovi. Se riceve cura quotidiana, può sfamare un’intera comunità. Bene, qual è il lievito madre della democrazia? Rispondiamo che è il legame tra parole e fatti. Perché la fiducia si nutre di concretezza. E la partecipazione cresce solo se il discorso pubblico è credibile. Altrimenti la democrazia si desertifica e il bisogno di autenticità prende cattive strade.

Un motivo ci sarà se, quando assunse la guida del partito laburista nel settembre del 2015, Corbyn si presentò con un claim incentrato proprio su quest’argomento: “Straight Talking. Honest Politics”. Linguaggio diretto, politiche oneste. Le due cose insieme. L’una uguale all’altra.

Prima del più noto “For the many, not the few” – che risuonò poi in campagna elettorale – Jeremy il Rosso aveva scelto cioè una sorta di preambolo democratico, concentrandosi su quella che ai suoi occhi deve apparire come una delle ferite più profonde della nostra epoca: lo scollamento tra discorso politico e realtà. Nell’elogio allo Straight Talking, in effetti, si può leggere la più radicale delle critiche al linguaggio politico orwelliano imperante dagli anni Novanta in poi, quello esaltato dalla cosmesi degli spin-doctor di cui furono campioni Bush figlio e Blair, con quegli enduring freedom che erano guerra e nient’altro.

Ma anche nell’Italia di oggi, nella quale si recrimina sulla perdita di valore della “parola data“, lo scenario linguistico è devastato. In cosa è consistito ad esempio il profondo scandalo di quello “stai sereno” indirizzato a Enrico Letta? Non certo nel dileggio in pubblico – al quale gli italiani non sono nuovi. Semmai è proprio nell’aver pronunciato un’aperta falsità presentata come tale e senza alcun timore di contraddirla con le azioni. Se c’è chi ci crede, pazienza. Di fatto, un attentato contro il patto linguistico comune.

Ricomporre la fiducia nelle parole, sembra dirci Corbyn, è il compito che la sinistra deve intestarsi nella comunicazione contemporanea. Non è intrattenere i talk show. Né le serve appiccarsi addosso chissà quale travestimento o mandare a memoria copioni da recitare, magari arrovellandosi sulla cravatta giusta e cagnolini da vezzeggiare. Si può abitare i media senza snaturarsi.

A patto di trovare gli strumenti per dare voce mediatica alla propria aspirazione di giustizia. Corbyn utilizza i suoi: straight, honest. Ci si può chiedere se basti. Se funzioni. Soprattutto, se ai puri fatti non possa mancare fascino, capacità attrattiva, consenso. Bill Bernbach, il grande pubblicitario umanista, raccontava spesso un episodio legato a uno dei suoi primi clienti, N.M. Ornbach, proprietario dell’omonima catena di grandi magazzini. Furioso per le falsità diffuse dalla concorrenza, l’imprenditore passò al contrattacco con una dichiarazione d’intenti diventata proverbiale: “Ho trovato il trucco. Diremo la verità”. Voleva rimetterci? Non proprio. Da lì in poi i suoi punti vendita aumentarono. Ma se quella sua frase è ancora valida, lo è per l’intuizione che conteneva. In un ambiente comunicativo totalmente inquinato, rimettere insieme parole e fatti diventa il più clamoroso degli effetti speciali. Il lievito migliore.

 

Giuseppe Mazza

Copywriter, dopo dieci anni in Saatchi&Saatchi e Lowe Pirella ha fondato Tita, la sua agenzia. Dirige Bill Magazine, la rivista italiana di studi sul linguaggio pubblicitario. Ha pubblicato "Bernbach pubblicitario umanista" e "Cose Vere Scritte Bene" (Franco Angeli). Ha scritto per Cuore, Comix, Smemoranda, Il Venerdì.