La nuova legge elettorale italiana, soprannominata con stucchevole pseudo-latinismo Rosatellum, è stata dunque approvata in maniera definitiva dai due rami del Parlamento e con essa andremo a votare in primavera. La campagna elettorale che sta per entrare ormai nel vivo si annuncia infuocata come non mai, dato che dovrà fare i conti con le macerie che la prepotente approvazione di tale legge ha lasciato dietro di sé. Tra le nefandezze che essa comporta corre qui l’obbligo di menzionare in primo luogo ciò che più colpisce gli italiani all’estero, ossia l’emendamento che permetterà ai residenti in Italia di essere eletti nelle circoscrizioni estere, con conseguente snaturamento dello spirito della legge Tremaglia. Fatto assai grave, questo, che non ho remore a definire un autentico tradimento degli italiani all’estero da parte delle forze politiche che questa legge elettorale hanno così ciecamente voluto. I commenti a caldo su tale questione – sia dei parlamentari eletti all’estero, sia degli addetti ai lavori –, improntati a forte critica, sono in gran parte condivisibili, ma a mio avviso peccano tutti, per lo meno sinora, di una qualche parzialità, in quanto si concentrano esclusivamente sul famigerato emendamento Lupi senza collegarlo ad un contesto più ampio, ossia lo spirito e le modalità con le quali è stata concepita e approvata la nuova legge. Per arrivare a spiegare il mio punto di vista debbo ricordare preliminarmente alcuni aspetti salienti che caratterizzano la legge elettorale targata Pd, Forza Italia, Lega, Alleanza Popolare e Ala, dato che nel puntare il dito indice della accusa è bene arrivare a vedere anche la luna.
Il giudizio di fondo sull’intero impianto della legge non può che essere drasticamente negativo per chi abbia a cuore gli equilibri della democrazia piuttosto che i calcoli di potere di singoli partiti.
Si è commentato in questi ultimi giorni che essa prevede che due terzi del Parlamento siano nominati dalle segreterie di partito nella quota proporzionale, ma chi altri se non i soliti noti decideranno i nomi dei capilista nelle circoscrizioni uninominali? Domanda retorica, perché anche le pietre in Italia hanno piena consapevolezza che saranno i capi-padroni dei partiti principali, leggasi Renzi, Berlusconi e Salvini a concentrare tale potere. Entro pochi mesi ci ritroveremo tutti, italiani residenti in patria o all’estero, un parlamento composto quasi esclusivamente da nominati – e quindi da parlamentari privi di effettiva indipendenza –come non si era mai visto prima nella storia repubblicana. La nuova maggioranza dell’attuale Parlamento, anziché procedere adottando un atteggiamento di prudenza nel varare la nuova legge elettorale – visto anche il vulnus alla propria autorevolezza inferto dalla sentenza della Corte suprema che ha dichiarato l’incostituzionalità del cosiddetto Porcellum, fonte della propria elezione – si è ispirata invece alla stessa logica arrogante e perversa, ovverosia penalizzare i propri avversari politici, nell’intento di decurtarne la consistenza elettorale. Non un pericoloso estremista o un demagogo, ma un intellettuale liberale di grande prestigio, Paolo Mieli, ha commentato nei giorni scorsi che la nuova legge elettorale non solamente è pessima e difficilmente otterrà la sbandierata governabilità del sistema, ma essa è soprattutto “immorale”, in quanto a poche settimane dal voto, in contrasto anche con le indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non è ammissibile approvare una legge concepita esclusivamente per avvantaggiare alcuni partiti e colpire gli avversari politici, siano essi i 5 Stelle o la nascente lista unitaria delle sinistre.
Inoltre, al contrario di quanto stabiliva l’ultima buona legge elettorale che abbiamo avuto, il cosiddetto Mattarellum (anch’esso sistema misto proporzionale-uninominale) che prevedeva opportunamente un voto disgiunto per le due quote al fine di ampliare la possibilità di scelta degli elettori, la legge attuale, invece, ci consente un solo voto, col quale saremo costretti a scegliere un partito e i candidati da esso selezionati nei due sistemi, tanto per stringere ulteriormente la camicia di forza in cui viene costretto oggi l’elettorato. Non è possibile in questa sede approfondire altre possibili perversioni del voto unico, ma è un fatto che la sovranità popolare sancita dalla nostra Costituzione sia stata ulteriormente calpestata, col grave rischio che i cittadini, vedendo ormai il proprio voto ridotto ad una mera ratifica delle volontà espresse dalle élites, ancor più esprimano la loro protesta con una crescente astensione.
Infine, va ricordato che la scelta del PD di imporre la fiducia sulla legge nei due rami del Parlamento non ha precedenti, neanche nei periodi più bui e autoritari della nostra storia del ‘900. Ciò ha significato la volontà di blindare un testo, impedendo al Parlamento di modificare sia pure una virgola – ivi compreso l’emendamento Lupi – frutto di accordi extra-parlamentari. Matteo Renzi, notoriamente, non è un eletto e Berlusconi, se qualcuno se ne fosse dimenticato, è stato estromesso dal Senato nel 2013 a seguito di condanna penale passata in giudicato (frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita). L’andamento dei lavori parlamentari ha poi definitivamente chiarito, se mai ve ne fosse stato bisogno, che la fiducia imposta a Gentiloni con “pressioni improprie”, come si è espresso con tristezza Giorgio Napolitano, ha profondamente alterato la corretta dialettica parlamentare su una questione cruciale come la legge elettorale. Fiducia, occorre evidenziarlo, frutto di una concertazione ampia, o meglio, prova generale di una nuova maggioranza in questo scorcio di legislatura che prelude al tentativo di riproporsi nella prossima. Il Partito democratico e Alleanza popolare hanno infatti avuto bisogno al Senato, nonostante l’imposizione della fiducia, non solo dei soliti voti dell’amico Verdini (Ala), ma anche della fattiva collaborazione di Forza Italia e Lega Nord.
La legislatura si sta dunque avviando a conclusione in modo deprimente, con il capo di Ala, Denis Verdini, condannato in primo grado a 9 anni per bancarotta e truffa, nonché interdetto dai pubblici uffici che, nel rammentare il consolidato appoggio al Governo (prima Renzi, poi Gentiloni) in cruciali circostanze, rivendica la sua evidente appartenenza alla maggioranza e lascia intendere che la nuova legge elettorale deve considerarsi non tanto sua figlia, come taluni commentatori avevano affermato, bensì sua nipote, alludendo al fatto che egli l’ha suggerita ad un figlio, costui sì da riconoscere quale padre effettivo della stessa. A tale rivelazione, il Parlamento italiano, sgomento, si interroga in queste ore su chi possa mai essere il figlio politico putativo al quale Denis Verdini faceva riferimento… (Ogni allusione a Matteo Renzi è ovviamente voluta). Ad ogni buon conto, sia ricordato en passant, Verdini e i suoi seguaci in Parlamento siedono ormai da anni, come buoni alleati nello stesso gruppo, assieme ai parlamentari del MAIE, oggi schierato come pochi a difesa dell’originale legge Tremaglia, ma allo stesso tempo in evidente contraddizione tra la difesa degli interessi dei nostri connazionali nel mondo e l’alleanza strategica con gli imbarazzanti alleati di Ala, ispiratori della legge nel suo insieme e forse beneficiari dell’emendamento Lupi, come insinuano alcuni organi di stampa.
E torniamo quindi alla questione dalla quale eravamo partiti, ovverosia il famigerato emendamento di cui sopra, che con ogni probabilità consentirà la candidatura nei collegi delle Americhe degli impresentabili nelle circoscrizioni nazionali che tenteranno di riciclarsi fuori confine o anche magari, perché no, delle candidature di illustri “famosi” del patrio suolo, tanto per racimolare dei voti ed aspirare a qualche poltrona per le forze politiche senza alcun radicamento tra i nostri connazionali all’estero.
Per concludere il nostro ragionamento: che senso ha – dunque – come taluni fanno, difendere la nuova legge elettorale – magari averla anche votata ingoiando il rospo della fiducia – e poi criticare solo i due emendamenti del “tradimento”? Come a me sembra evidente in base alla riflessione appena esposta, i due emendamenti che tanto hanno ferito le nostre comunità all’estero sono frutto delle stesse oscure intese che hanno concepito l’insieme della legge e non possono essere separati dal contesto in maniera farisaica o ingenua. Lo stesso fatto che i rappresentanti del PD, AP e di ALA giochino a rimpallarsi la primogenitura dei due emendamenti o facciano esplicito accenno a scambio di favori tra loro, dimostra quanto inconfessabili siano state le autentiche motivazioni e quanto poco trasparente sia stata la genesi di tali provvedimenti.
I parlamentari eletti all’estero hanno in questi ultimi giorni sviluppato complessi ragionamenti e machiavellici distinguo per giustificare il loro voto a favore della legge che è qui impossibile descrivere nella loro variegata articolazione, ma è abbastanza evidente che essi tendano nel complesso a sminuire la portata della loro scelta di fondo, il loro appiattimento ai voleri dei capi dei loro partiti di appartenenza, altro che difesa degli italiani all’estero!
Sono d’accordo con l’appello a future conferenze istituzionali e all’apertura di una ampia riflessione sulla legge Tremaglia, come ha fatto il caro Eugenio Marino, ma voglio reiterare che in un altro clima, con altre modalità politiche, con altra dignità, stile, trasparenza e rispetto per le istituzioni, i famigerati emendamenti non avrebbero avuto ragione di esistere. Se essi sono stati approvati è perché la degenerazione politica ha preso il sopravvento, come testimoniano le dure critiche dell’ex Presidente della Repubblica e di Piero Grasso, Presidente del Senato. Accanto alle critiche, però, almeno qualche chiarezza in più: i nostri connazionali all’estero sanno ora per quali partiti non votare.
(Pubblicato anche sul quotidiano online La Voce di New York)