“Come uscire dal nostro scontento” E’ il sottotitolo del libro di Gianni Cuperlo “Sinistra, e poi”, appena uscito in libreria per Donzelli. E’ un saggio non lungo (non supera le 140 pagine), ma denso di contenuti e soprattutto di domande, che il più delle volte si risolvono alimentandone altre. Probabilmente al sottotitolo manca un punto interrogativo. Infatti la ricetta per come la gente di sinistra (nelle sue diverse articolazioni) possa e debba uscire dal suo giustificato scontento alla fine non c’è. Il libro termina con un atto di fede, o più laicamente di ottimismo della volontà. Quello per il quale, “se la sinistra ritroverà la sua gente e se davanti a questa, e a mille altre pagine, la politica avrà l’istinto di chiamare le cose col nome, ribaltare il tavolo, pretendere giustizia, urlare indignazione e lottare – lottare – allora tutte le divisioni di adesso le sapremo gestire perché qualunque sia la fonte troveremo spazio e senso da dove ripartire. Accadrà, giuro. Perchè, come al solito, la storia stupirà”.
Eppure poche pagine prima la domanda chiave Cuperlo l’aveva posta: e con grande eleganza ed efficacia, citando l’ultimo atto di “Napoli milionaria”, il capolavoro di Eduardo De Filippo. Quando Amalia, che aveva fatto i soldi con la borsa nera e le Am lire, dinanzi al disastro della sua famiglia e alle macerie della sua città, chiede a Gennaro Jovine, il marito tornato dalla tragedia della guerra: “Che è stato che che è successo?”. E Gennaro la risposta la dà: “A guerra Amà, a guerra”. Questa domanda Cuperlo la trasferisce implicitamente nel che è successo alla sinistra in questi anni? Ma, se il Gennaro Jovine di Eduardo la risposta la dava (a guerra) Cuperlo non pronuncia la risposta, che potrebbe essere anche “Renzi”… E preferisce lasciare alla storia il compito di stupirci.
Ci può stare. Per chi, come me, è di scuola liberale, ci sta che la politica si svolga attraverso un susseguirsi di dubbi che alimentano altri dubbi. E’ la fase del pensiero, alla quale però qualche volta deve seguire quell’azione: fare qualcosa insomma (anche una scissione) per favorire il percorso della storia che, “come al solito, ci stupirà”. Naturalmente Cuperlo con l’abituale onestà intellettuale non schiva l’argomento e scrive: “Quando a febbraio un pezzo importante del Pd, della sua storia, ha scelto di andarsene l’ho giudicato un errore. Capivo le ragioni, in parte erano anche le mie, ma quella via a me è parsa la rinuncia alla battaglia nel luogo e momenti giusti”.
Insomma: il soggetto più grande, a prescindere da Renzi è considerato “l’argine più alto per forza dei numeri a uno sfondamento della destra”. Ragionamento tutt’altro che peregrino. Il quale però deve fare i conti con un’altra domanda: davvero quello, con le sue alleanze da Alfano a Verdini e gli occhieggiamenti ad altri della destra, è l’argine più alto e più sicuro? O non è il caso di mettere in campo qualcosa d’altro per provare a recuperare, i “rari nantes” che con il voto hanno abbandonato l’argine non ritenendolo più adeguato, per i suoi smottamenti a destra, a rassicurare e contenere la sinistra? E comunque quell’argine continua ad essere il più sicuro, anche alla luce dei Rosatelli imposti a colpi di fiducia e agli attacchi alla Banca d’Italia? Credo che questi interrogativi Cuperlo e altri se li debbano porre e se li stiano ponendo.
Allo stesso modo il libro di Cuperlo è certamente un efficace tentativo di offrire una base di ripartenza a tutte le diverse eresie che avrebbero dovuto e dovrebbero comporre e alimentare la sinistra e che, come lui auspica, la storia dovrà provvedere a far ritrovare. Non a caso nel libro ci sono alcune pagine di “intermezzo” dedicate a Lutero che sono anche un modo per introdurre il tema delle eresie e utopie che sono e servite e possono tornare a servire per dare più marcata identità alla sinistra. Un po’ quello che è mancato al Pd delle origini. “Dieci anni fa – si legge – nasceva il Partito democratico. Forse mai progetto politico tanto ambizioso si è dato fondamenta meno scavate. E’ bastata una carta dei valori. Un bel discorso al Lingotto… Se dieci anni più tardi quel partito si slabbra non ha molto senso imputarlo al rettilineo finale, dove responsabilità evidenti ci sono, al punto che da tre anni non si parla d’altro”.
E allora? Io credo che ci sia materia perché, anche senza fuorvianti o intempestive accelerazioni, quelli che hanno abbandonato l’argine e buona parte di quelli che, per ragionevole paura della destra, hanno preferito restare lì, continuino a cercare la ragioni e gli orizzonti della sinistra. Poi quando sarà il momento se saranno rose ce lo dirà la storia. E, come scrive Cuperlo, “allora se dovessimo chiudere la chiacchiera davanti a un bicchiere, chissà magari intoneremmo quella lì. Fischia il vento….e pur bisogna andar”. Già, la prospettiva resta quella della “rossa primavera dove splende il sol dell’avvenir”. E quella prospettiva la si può mantenere con qualsiasi alleato a fianco?