Nella sua recente visita alla città di Bologna come vescovo di Roma, Bergoglio ha pronunciato un discorso agli universitari su tre diritti fondamentali da lui reinterpretati: il diritto allo studio, alla pace e alla speranza in un futuro.
Nel trattare dello Ius Pacis egli, dopo aver ricordato l’articolo 11 della Costituzione Italiana – a cui contribuì in maniera determinante Giuseppe Dossetti – ha citato a sorpresa un testo di Giacomo Lercaro affermando: “Il Cardinale Lercaro qui disse: «La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia» (Omelia, 1° gennaio 1968). Non neutrali, ma schierati per la pace!”. In origine il testo diceva “la sua via non è la neutralità, ma la profezia”. Bergoglio ha però detto – per sbaglio? appositamente? – “vita”. A parte questa lieve differenza si tratta di una citazione con un proprio peso specifico. Diversi osservatori ne hanno giustamente segnalato l’importanza (Alberto Melloni, Luigi Sandri), qualcuno vi ha visto un passo decisivo verso l’archiviazione definitiva della dottrina della guerra giusta (Matteo Matzuzzi), qualcun altro in termini commossi e acuti vi legge come Francesco continui a “riparare la Chiesa” (Raniero La Valle). Certo non può non colpire come dopo la visita significativa a Barbiana e a Bozzolo con la riabilitazione di fatto di don Lorenzo Milani e di don Primo Mazzolari – due figure davvero importanti per la maturazione dell’insegnamento cristiano sulla pace – Bergoglio citi a Bologna Lercaro proprio sul tema della pace nella sua omelia del 1° gennaio 1968.
Si tratta infatti di una citazione proveniente da un’omelia che fu tra le cause – o quantomeno la goccia che fece traboccare il vaso – della rimozione di Giacomo Lercaro dalla sede episcopale bolognese. Rimozione che, a sua volta, può essere interpretata come il simbolo concreto dell’esistenza di visioni di Chiesa differenti e di una tensione allora crescente – poi manifestatasi chiaramente – nell’interpretazione del significato del Concilio Vaticano II.
La celebre omelia di Lercaro fu pronunciata – come ben studiato da Giuseppe Battelli e Alberto Melloni – in un quadro ecclesialmente e politicamente molto complesso a livello locale, nazionale ed internazionale. La ripresa dei terribili bombardamenti americani in Vietnam insieme con la visita del presidente Johnson il 23 dicembre 1967 a Paolo VI produsse una serie di fibrillazioni in una Chiesa che, certo, si stava muovendo in senso conciliare nella direzione di una testimonianza di pace – il 1° gennaio 1968 sarebbe stata la giornata della pace indetta dallo stesso Paolo VI – ma che viveva in un complicato quadro di condizionamenti e di legami in Italia – con un partito di maggioranza che si riconosceva come il luogo unitario dell’impegno cattolico in politica – e all’estero nel quadro polarizzato e drammatico della guerra fredda. Questo contesto non semplice era ulteriormente gravato dalle critiche verso la linea ecclesiologica e liturgica di Lercaro e del suo stretto collaboratore Dossetti, che divennero progressivamente una sorta di simbolo in quegli anni – ma a bene vedere fino ad oggi – di una Chiesa differente, più spoglia e più evangelica.
In tale intricatissimo quadro, attraverso un programma pensato e preciso, Lercaro promosse a Bologna in vista di quel 1° gennaio una serie di iniziative di sensibilizzazione, tra cui va ricordata l’importante visita al Consiglio Comunale presieduto dal sindaco comunista Guido Fanti il 22 dicembre 1967 per una consegna ufficiale – ma tutt’altro che formale – del messaggio di Paolo VI per la giornata della pace. Questo e altri gesti ed incontri miravano alla celebrazione della giornata della pace e a una duplice riflessione che Lercaro – con l’aiuto determinante di Dossetti – propose in una traccia per tutte le parrocchie e nella sua incisiva omelia del pomeriggio del primo dell’anno.
L’omelia, a partire da alcune riflessioni sulle Scritture del giorno e sul messaggio di Paolo VI, si sviluppa come una sorta di esame di coscienza intimo e collettivo sulla propria testimonianza di pace e più in generale sulla testimonianza di pace della Chiesa intera. È percepibile il senso di una responsabilità tutta personale, infatti spera che a lui “non si debba mai rimproverare di avere taciuto qualche cosa che potesse essere essenziale alla valida testimonianza di pace della nostra Chiesa, nel contesto […] in cui essa vive e opera”.
Lercaro prosegue con una serie di affermazioni importanti sulla natura del contributo della Chiesa, che dev’essere libero e disinteressato, dolorosamente cosciente degli errori del passato, quindi umile, non arrogante e non schierato politicamente: “la Chiesa — per non apparire invadente o parziale o imprudentemente impegnata nell’opinabile e nel contingente — deve affinare sempre più la sua purezza trascendente e il suo distacco da ogni interesse politico e persino da ogni metodo in qualche modo analogo a quelli delle potenze”.
Nello stesso tempo la Chiesa non deve far mancare il proprio giudizio dirimente su questioni e decisioni essenziali per la vita di molti uomini. All’interno di questa prospettiva si trova la citazione fatta propria da Bergoglio: “ma la Chiesa non può essere neutrale, di fronte al male da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia; cioè il parlare in nome di Dio, la parola di Dio. Pertanto, nell’umiltà più sincera, nella consapevolezza degli errori commessi nella sua politica temporale del passato, nella solidarietà più amante e più sofferta con tutte le nazioni del mondo, deve tuttavia portare su di esse il suo giudizio”.
Detto questo egli è consapevole che tale qualifica profetica della parola – quando è autentica – non è a basso prezzo, ma può incontrare contrasto ed un’opposizione anche violenta, ma “è meglio rischiare la critica immediata di alcuni che valutano imprudente ogni atto conforme all’Evangelo, piuttosto che essere alla fine rimproverati da tutti di non aver saputo — quando c’era ancora il tempo di farlo — contribuire ad evitare le decisioni più tragiche o almeno ad illuminare le coscienze […]”.
Vi sono momenti della storia che risultano davvero decisivi e discriminanti in bene e in male e in tal senso vanno riconosciuti in maniera vigile. In proposito, egli compie una valutazione acuta delle recenti guerre (nel 1915, 1936, 1940) italiane che coniuga con la sua personale esperienza della guerra e ricorda un testo – ripreso anch’esso da Papa Francesco a Bologna – di Benedetto XV: “se ripenso a tutto l’arco di questi dieci lustri, debbo riconoscere che la parola più concreta e incidente, in rapporto alle vicende belliche in cui l’Italia fu coinvolta, fu pronunziata appunto cinquant’anni fa (1917) da Benedetto XV: alludo al suo giudizio che definiva la guerra in corso fra le potenze, una «inutile strage». Quel giudizio – veramente non politico, non diplomatico, ma religioso – fu immediatamente il bersaglio di ogni accusa: ma oggi da tutti si riconosce che quella parola profetica costituisce uno dei titoli maggiori della statura, pontificale e storica, di papa Benedetto”.
Dopo questa serie di premesse, Lercaro pronuncia quel giudizio storico sui bombardamenti in Vietnam a cui ha preparato con cura i propri ascoltatori: “La dottrina di pace della Chiesa (messa sempre meglio a fuoco da papa Giovanni, dal Concilio, da papa Paolo) per l’intrinseca forza della sua coerenza, non può non portare oggi a un giudizio sulla precisa questione dirimente, dalla quale dipende oggi di fatto il primo inizialissimo passo verso la pace oppure un ulteriore e forse irreversibile passo verso un allargamento del conflitto. Intendo riferirmi, come voi ben capite, alle insistenze che si fanno in tutto il mondo sempre più corali — e delle quali si è fatto eco il Papa nel recentissimo discorso ai cardinali — perché l’America (al di là di ogni questione di prestigio e di ogni giustificazione strategica) si determini a desistere dai bombardamenti aerei sul Vietnam del Nord”. Questo fu il passaggio – la richiesta di cessazione dei violenti bombardamenti in Vietnam – che per una serie di congiunture storiche, politiche ed ecclesiali, fece, per così dire, precipitare la situazione di Lercaro e condusse – come causa prossima – alla sua rimozione.
Rileggendo questa vicenda pare che la citazione di Lercaro da parte di Bergoglio nella sua visita bolognese non sia incolore ma possa essere letta come una riabilitazione non solo della persona, ma dei criteri di fondo con cui Lercaro – insieme al provicario generale Dossetti – intese la testimonianza della Chiesa verso la pace nel rifiuto delle logiche – palesi o spesso nascoste – di guerra. Si tratta di una visione profetica della Chiesa nella storia che sente una responsabilità sofferta verso i drammi umani e verso quella che può essere descritta come l’illusione della guerra. In una lettera del dicembre 1967 – pochi giorni prima del primo gennaio – alla comunità dei giovani che vivevano con lui, Lercaro sostiene che “ora la Chiesa bolognese è ulteriormente impegnata alla preghiera, a meditare sulla pace, a educare i giovani a liberarsi dalla superstizione della guerra”. Egli mostra la convinzione che il rifiuto delle logiche della guerra non è astrazione o idealismo, ma è l’unico modo di essere davvero realisti e aderenti alla realtà sui tempi lunghi della storia.
Visto l’esempio recente delle molteplici conseguenze delle molte guerre a cui si è collaborato o che sono state armate da parte italiana nelle zone del Medio Oriente (non ultima la vicenda delle armi italiane per la guerra sanguinosa dell’Arabia Saudita contro lo Yemen) o del Nord Africa la riabilitazione dei criteri e del discorso – di Lercaro e Dossetti – sulla pace e sul rifiuto delle logiche e degli interessi della guerra riveste un significato non solo per la Chiesa bolognese e italiana, ma per ogni uomo che cerchi di essere responsabile e vigile.