Riace è un borgo calabrese che stava morendo di abbandono e di invecchiamento. Case vuote, denatalità, giovani in fuga alla ricerca di realizzazione. Per certi versi niente di particolarmente diverso da quello che sta succedendo, se non in tutta Europa, in tante parti dell’Italia, che attraversa una lunga e complicata crisi strutturale da decenni, molto prima che iniziassero a farci credere che il “problema” dei problemi fossero le persone che scappano da guerra e miseria, alla ricerca di salvezza. E quindi, in definitiva, la differenza è tutta qui: noi andiamo alla ricerca di realizzazione, altri alla ricerca di salvezza. Forse è per questo che per alcuni Riace è un posto da cui andarsene, per altri un posto ideale in cui arrivare e restare.
Niente di particolarmente nuovo, in realtà. La storia delle società umane e dei loro spostamenti funziona così da millenni, solo che oggi fa più comodo fornire un’altra lettura del fenomeno dei flussi migratori: e così siamo arrivati a screditare le navi delle ONG che salvano le persone dal mare, insinuando che siano “pagate” dal business dei trafficanti di vite umane. Un business che gonfia le tasche dei “buoni” a scapito dei poveri italiani, che si vedono sottrarre i lavori migliori (badanti, manovali, operai, raccoglitori nei campi, custodi nei condomini, addetti alle pulizie) e i posti migliori (come Riace, per l’appunto). E in effetti è proprio così, come dicevamo: da Riace gli italiani vanno via, in cerca di fortuna, e in Calabria i migranti sbarcano, in fuga dalla sfortuna. Qualcuno, evidentemente, ha fatto uno più uno.
Dal 2004 ad oggi Riace è stato infatti al centro di politiche di accoglienza degli immigrati: inizialmente circa 150 gli immigrati accolti dalla popolazione locale che, supportati da politiche sociali, sono stati inseriti nel mondo del lavoro, contribuendo allo sviluppo dell’economia del borgo. Nel 2016 sono più di 800 gli immigrati accolti dalla comunità locale. E questo è un fatto, una storia vera. Non buona e non cattiva in sé, semplicemente un dato da considerare, tra un’ovazione a Salvini e l’altra. E invece pochi in Italia conoscono questa storia e pochi conoscono Mimmo Lucano, il sindaco, oggi al terzo mandato, che l’ha scritta e che ancora oggi la sta portando avanti, tra mille difficoltà e più riconoscimenti all’estero che nel suo Paese (recentemente la rivista Fortune l’ha inserito tra le cinquanta persone più influenti del mondo).
Oggi c’è un film che racconta tutto questo. È Un paese di Calabria, un “docufilm d’autore”, una produzione italo-franco-svizzera, diretto da due figlie di italiani immigrati in Francia, Shue Aiello e Catherine Catella. Un film già uscito in Francia e in Svizzera e visto da decine di migliaia di spettatori entusiasti.
E in Italia? In Italia niente, nessuna distribuzione. Pare che non interessi a nessuno, essendo che racconta una storia poco compatibile con la narrazione politica e mediatica prevalente, che vede e racconta il fenomeno dell’immigrazione esclusivamente come problema di sicurezza e ordine pubblico e mai come possibile soluzione e opportunità. Ebbene, la rete di imprese sociali Passepartout e il CNCA (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza), attraverso la piattaforma di autodistribuzione Movieday, hanno deciso di fare quello che la grande distribuzione cinematografica italiana ha ritenuto di non fare: dare agli italiani la possibilità di vedere questo film e di conoscere un altro modello di accoglienza (e di sviluppo) e ragionarci un po’ su insieme.
Hanno dunque organizzato un ciclo di dieci proiezioni-incontri nei cinema di alcune importanti città di tutta Italia (cinque a maggio, cinque a ottobre), seguite da un momento di riflessione moderato da giornalisti e rappresentanti della politica e dell’associazionismo locale. Si parte da Milano, il 15 maggio, cinque giorni prima della grande manifestazione #insiemesenzamuri, e si prosegue poi per tutto maggio, a Torino, Padova, Firenze e Roma. Da ottobre, poi, si girerà per il sud.
Per saperne di più si può tenere d’occhio la pagina facebook “Artù – L’incessante danza della mescolanza”.
Per prenotare il proprio posto al cinema si può andare qui (dove c’è anche il trailer del film):
Per rendere la partecipazione ancora più interessante abbiamo infine pensato a un dress code: venite al cinema “armati” di un cucchiaino. Renderemo il messaggio ancora più forte e chiaro, per ballare insieme l’unica danza che ha garantito e garantisce il progresso dell’uomo: #ladanzadellamescolanza!