Si torna a parlare della Marcia su Roma, del 28 ottobre 1922. Non come il ricordo appannato nella memoria di qualche irriducibile nostalgico, ma come una data da porre a “marchio” d’un evento politico attuale. Come è noto Forza Nuova, la famigerata formazione neofascista, ha promosso un raduno da svolgersi nella Capitale in occasione di quell’anniversario, preso a simbolo di “patriottismo” e di “italianità”, contro la supposta minaccia portata ai valori nazionali dalle ondate di migranti che sommergerebbero il nostro paese. Il neofascismo stringe un patto con il populismo che si tinge così di evidenti nostalgie autoritarie e di espliciti richiami razzisti. Ultima prova, un manifesto della stessa FN. Una donna bianca ghermita da un nero. Una riesumazione, nemmeno troppo adattata, di un ignobile manifesto della Repubblica Sociale Italiana. Basta con gli stupri dei neri, no allo ius soli. Perciò bisogna marciare ancora una volta su Roma.
Di fronte a tanta impudenza, sarà meglio rammentare alcune cose.
Punto primo. La Marcia su Roma (quella vera) fu il modo mediante il quale Benito Mussolini, con abile strategia politica e con l’appoggio del re, riuscì a farsi nominare Presidente del Consiglio, formando un governo di coalizione di forze moderate e nazionaliste, assieme al Partito popolare. La pressione dal basso (la Marcia) e la manovra dall’alto (l’appoggio della monarchia, dei vertici militari, che non fecero nulla per contrastarla) consegnarono il governo del paese a una forza minoritaria, violenta e antidemocratica. La divisione delle forze antifasciste fece il resto, impedendo una qualunque reazione efficace. In tal modo la crisi dello Stato liberale si approfondiva e il fascismo poteva condurre la sperimentata politica del doppio binario: rispetto formale della legge e delle libertà statutarie, repressione squadristica contro singoli oppositori e forze d’opposizione.
Punto secondo. L’instabile situazione parlamentare imponeva al fascismo la ricerca di un assetto politico meglio definito. Lo scopo fu raggiunto con l’approvazione di una nuova legge elettorale maggioritaria che prevedeva un fortissimo premio di maggioranza: una vera e propria truffa. Alla lista che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti sarebbero stati attribuiti due terzi dei seggi disponibili. Di fronte a tanto, il Partito popolare si spaccò (un’esigua pattuglia di parlamentari votò a favore della legge) e uscì dalla maggioranza. Ma il più ormai era fatto. Per il fascismo non si trattava d’altro che di procedere alla eliminazione di una vera opposizione in parlamento. Infatti le elezioni, svoltesi in un clima pesantissimo di violenza e di intimidazioni, assicurarono il successo di Mussolini. La Camera era fascistizzata.
Punto terzo. L’intima natura violenta e antidemocratica del fascismo si rivelò in tutta la sua insopprimibile evidenza quando Giacomo Matteotti, socialista unitario, denunciò nell’aula di Montecitorio le violenze e i brogli del fascismo. Pagò con la vita. La reazione insufficiente e ancora una volta esitante delle forze antifasciste, rinchiusesi nella sterile politica dell’Aventino, il rifiuto cioè di partecipare oltre ai lavori parlamentari, non riuscì a smuovere la monarchia dall’appoggio al fascismo, che, con il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 e con le cosiddette “leggi fascistissime” della fine del 1926, impose infine al nostro paese la dittatura a viso aperto.
Ora, la storia non è, contrariamente a quanto si può credere, magistra vitae. E tuttavia qualcosa può sempre insegnarci. In questo caso che non bisogna sottovalutare i segnali, per quanto ancora deboli e minoritari, dell’odio antidemocratico. Sono virus inoculati nel corpo vivo della nazione che possono proliferare e compiere la loro opera distruttrice in epoca di crisi economica e di sfaldamento sociale. La democrazia non regge a lungo andare alla pressione di diseguaglianze sempre più accentuate, che scavano solchi tra ceti e classi dalle dimensioni inimmaginabili sino a qualche decennio fa e preparano così il terreno su cui alligna il ripiegamento egoistico e sul quale si alimenta la paura dell’altro. Perciò si fa sempre più stringente la necessità di una diretta azione politica specifica e giustamente orientata a contrastare attivamente la campagna di intolleranza populista e di odio razzista che viene alimentata da tempo e che troverà la sua massima esplicitazione nelle prossime elezioni politiche. Non si è fatto abbastanza. Non si può più aspettare. Occorre reagire subito e con la massima energia. Un’altra marcia, quella di solidarietà che si svolse a Milano qualche mese orsono sui temi della immigrazione e dell’accoglienza può essere un ottimo modello. Se persino la Raggi, di solito così disattenta ai problemi di Roma, ha chiesto che la “marcia” di FN sia vietata, occorre che il governo intervenga immediatamente, impedendola. In fondo la legge Scelba e quella Mancino sono sempre in vigore in Italia.