Il New York Times riporta che il Climate science special report federale, stilato dalle agenzie pubbliche di ricerca e protezione ambientale, è stato trasmesso a Trump. Si tratta del rapporto sul clima che la legge statunitense prevede sia inviato dal Presidente al Congresso ogni 4 anni.
In questo rapporto si ribadisce quello che tutti sappiamo da anni. Il clima va cambiando, il pianeta è surriscaldato e le cause sono tutte da ascrivere alla condotta dell’uomo (specialmente alle emissioni di CO2).
Una relazione della Commissione ambiente della Camera dei deputati del 2007 lo aveva già chiarito e declinato dettagliatamente.
Il quotidiano della Grande Mela riporta anche il surreale dilemma che attanaglierebbe Trump: dare retta alla scienza o continuare a vellicare l’insensata ignoranza di parte del suo elettorato? Lasciamolo ai suoi dubbi, ma in Italia?
Ecco il bollettino, con ordine.
Il lago di Bracciano, millenario specchio d’acqua di origini vulcaniche sopra Roma, è ridotto a una pozzanghera.
Sullo Stelvio s’interrompe la secolare tradizione dello sci estivo (qui il bollettino è proprio della neve).
Sotto il Po la situazione è tragica e Lazio e Umbria hanno ottenuto la dichiarazione governativa dello stato di emergenza (persino le arnie delle api si vanno sciogliendo).
Roma e Napoli sono vicine al razionamento dell’acqua.
Gli incendi divorano la penisola, fino su al Gran Sasso.
Allora perché siamo occupati sul crinale più velenoso e bugiardo del problema dei migranti? (Qui si potrebbe aprire un dibattito parallelo – ma non sconnesso – sulle sgrammaticature evidenti del protocollo che viene imposto alle ONG).
Meglio provare a essere pratici e a ribaltare l’agenda del nostro dibattito pre-elettorale.
Ci accorgiamo noi tutti elettori italiani che c’è la siccità?
Ci accorgiamo noi tutti elettori, specie nelle zone di campagna, che la mancanza di pioggia lede le aspettative di produzione in agricoltura? E che tutto ciò potrebbe far aumentare i prezzi dei prodotti alimentari, specie di quelli che sentiamo più genuini e tipici dei nostri territori (badate che non si parla solo dei tartufi, ma si potrebbe dover parlare anche del pane, della pasta e delle mele)?
Ci accorgiamo noi tutti elettori dei danni che potrebbero subire gli operatori delle stazioni sciistiche perché, di questo passo, il prossimo inverno non ci sarà neve “sparata” che tenga e la stagione rischierà di essere irrimediabilmente compromessa, con un impatto rovinoso anche sul’indotto?
Ci accorgiamo noi tutti elettori del pregiudizio che può subire la nostra industria più preziosa, vale a dire il turismo, se le scorte d’acqua delle nostre città si assottigliano?
Ci si augura di sì: tutti se ne accorgono.
I rimedi sono anch’essi indicati da molte fonti: energie rinnovabili, automobili con alimentazione alternativa, qualità migliore e innovativa nell’edilizia (anche con la riduzione nella produzione del calcestruzzo), monitoraggio e riparazione scrupolosa delle reti idriche per evitare gli sprechi, manutenzione del territorio, gestione finalmente sensata e civile da Roma in giù del ciclo dei rifiuti, con il recupero dell’organico.
Allora potrebbe essere utile dare maggiore forza ed enfasi a questi temi, a imporli al dibattito pubblico.
Articolo 1 – MDP lo ha fatto: Roberto Speranza ne parla con frequenza; a Fondamenta a Milano – a maggio – sull’ambiente c’era un tavolo tematico apposito (i cui materiali sono su questo sito). Vale la pena alzare il volume e insistere.
Ma come facciamo a deviare l’attenzione dall’immigrazione? Potrebbe sembrare un parlar d’altro. Non proprio.
Tutti gli studi sulle migrazioni mettono l’accento sui “migranti climatici”. Se molte parti dell’Africa sono mangiate dal deserto; se i programmi d’irrigazione e di fertilizzazione delle terre falliscono per molti motivi; se le derrate scarseggiano, queste ragioni sono una componente molto importante della determinazione a emigrare dal proprio paese d’origine.
In conclusione: il problema ecologico deve riprendersi il centro del dibattito perché non ci meritiamo di morire assetati. Né di annegare nel dibattito sui migranti impostato come oggi.