Giovanni Bianchi ci mancherà molto. Mancherà ai molti che hanno avuto in lui un maestro e un amico, un modello per l’impegno civile e politico, una guida negli anni difficili e burrascosi del passaggio dalla prima alla seconda repubblica, un riferimento nel discernimento spirituale e culturale di rara ampiezza di orizzonti. Una personalità eccezionale di uomo di azione e di pensiero, di politico e di filosofo, di difensore dei più deboli e di poeta. Una persona profondamente radicata nel suo popolo e in virtù di ciò capace di acuta ed intensa elaborazione politica e culturale. Caratteristiche che hanno costituito i suoi tratti peculiari anche da presidente nazionale delle Acli dal 1987 al 1994, da presidente del Partito Popolare, da co-fondatore dell’Ulivo, da parlamentare.
La fede è stata la sorgente di quella sua tensione civile e culturale che è stata così feconda. Una fede testimoniata nella quotidianità, vissuta a servizio della comunità ecclesiale e di quella civile e attraversata da una tensione escatologica che apre nuovi orizzonti anche nel qui ed ora, nel cammino della storia. Una fede apocalittica, maturata insieme al compianto Pino Trotta, sulle colonne della rivista Bailamme, che è non annuncio di catastrofi, bensì l’esatto opposto disvelamento del Giudizio di Dio sulla storia, pronunciato nella vicenda terrena di Gesù di Nazareth, assunzione di responsabilità per agire nella storia secondo tale giudizio.
In questa prospettiva per Giovanni Bianchi la politica non poteva che esser intesa, parafrasando Hegel, come ciò che nasce da quel che politico non è, e gli dà forma. E quale osservatorio migliore delle istanze popolari, intese come incubatrice di quanto potrà costituire la futura agenda della politica, che un’associazione come le Acli? I corpi intermedi non come appendice della burocrazia, non come limbo del parastato, non come succursale di qualche partito o corrente, non come recinti autoreferenziali, ma pezzi di popolo, protagonisti nella ricerca del bene comune. Non si può attribuire certo al caso il fatto che le Acli, dopo anni travagliati e nei quali tutte le organizzazioni che facevano riferimento ai lavoratori risentirono della crisi e del declino della classe operaia, proprio negli anni della presidenza di Bianchi ritrovarono un protagonismo sociale e politico, che produsse frutti importanti sia con l’iniziativa referendaria che con il rilancio del popolarismo sul piano culturale e politico e la successiva nascita dell’Ulivo di cui Giovanni è stato uno dei più importanti artefici.
Il pensiero di Bianchi appare di un’attualità impressionante. Nelle sue opere vi è un’analisi approfondita della genesi degli attuali populismi che egli non poteva per niente concepire come “antipolitica”. Vi sono i possibili rimedi alla crisi della rappresentanza, sociale e politica. Alla cui base vi è una insormontabile istanza di autonomia culturale e di conseguente elaborazione progettuale. Recuperare una tale visione è salutare per la politica. Ma lo è ancor di più per il cattolicesimo democratico, di cui Bianchi è stato uno dei massimi esponenti contemporanei. Il senso di appartenenza al popolo appare vitale per associazioni e movimenti che si ispirano alla Dottrina sociale della Chiesa: da qui sgorga quell’autonomia di giudizio e quell’originalità così preziosa per il Paese in un contesto culturale e mediatico appiattito in larga parte sul “pensiero unico” e su categorie di pensiero ostili agli interessi popolari e alla giustizia sociale.
Negli anni della mia presidenza delle Acli mi è stato molto vicino, con la sua proverbiale discrezione mi ha aiutato a capire, mi ha stimolato a contestualizzare le vicende della società e del Paese nell’attuale complesso ed inedito contesto internazionale. Anche di questo gli sono profondamente grato.