Ius soli, un’altra sfida persa in questa legislatura da dimenticare

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Abbiamo appreso con sconcerto la notizia, fornita dal presidente Gentiloni in persona, del rinvio all’autunno della legge sullo Ius soli. Lo sgomento è dovuto, soprattutto, al fatto che sappiamo benissimo che questo rinvio comporta, sostanzialmente, l’accantonamento della norma, in quanto in piena sessione di Bilancio e a pochi mesi dalle elezioni si è capito che il Pd non avrà né la forza né la voglia di sfidare apertamente il populismo di Salvini e del M5S, anche per non precludersi un’eventuale alleanza post-elettorale con Forza Italia e le varie anime della galassia centrista.
Abbiamo capito, insomma, che per questo esecutivo l’importante non è governare nell’interesse del Paese quanto, più che mai, tirare a campare, e pazienza se ciò avverrà, ancora una volta, a spese dei ceti sociali più deboli e di coloro che da anni attendono il riconoscimento di un proprio sacrosanto diritto.
Non si tratta, infatti, di una questione meramente economica, benché il presidente dell’INPS Boeri non abbia torto quando afferma che senza i migranti il nostro sistema pensionistico e di welfare sia destinato, nei prossimi decenni, a saltare, bensì di una questione umanitaria, di civiltà e di rispetto per quel valore imprescindibile che è l’esistenza libera e dignitosa delle persone, sancito non a caso dall’articolo 36 della nostra Costituzione.
Senza contare il dovere, sempre previsto dalla Carta all’articolo 10, di concedere il diritto d’asilo a coloro che nel proprio paese non possano godere dell'”effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”.
Quanto all’integrazione dei nuovi italiani, si tratta di una sfida trentennale, da pianificare e portare avanti con scrupolo, partendo dai programmi scolastici, dalla lotta contro le disuguaglianze, dalla battaglia campale da ingaggiare contro il caporalato e qualsiasi altra forma di sfruttamento ma, soprattutto, impegnando energie e risorse al fine di favorire il necessario cambio di mentalità all’interno dell’opinione pubblica.
Non c’è dubbio, infatti, che l’esodo biblico con cui saremo chiamati a fare i conti per i prossimi vent’anni, con circa cinquanta milioni di persone di cui si prevede il trasferimento dall’Africa e dal Medio Oriente in Europa, sia destinato a mutare in maniera drastica non solo il nostro assetto demografico ma anche il nostro sistema politico, il nostro modo di percepire la comunità e le nostre forme di convivenza.
In un contesto del genere, l’approvazione dello Ius soli non sarebbe risolutiva, tutt’altro, ma costituirebbe comunque un primo, significativo passo lungo la strada dell’inclusione, prosciugando il brodo di coltura in cui prosperano le opposte forme di integralismo. Verrebbe meno, difatti, sia una parte del fascino esercitato, in particolare sui giovani, dalle predicazioni deliranti dei fautori della jihad sia una parte dei proclami esagitati di quelle forze politiche che lucrano, da sempre, sul malessere sociale e sulla disperazione che induce i penultimi ad accanirsi contro gli ultimi.
Favorirebbe, inoltre, il processo di integrazione, già ben avviato, all’interno delle aule scolastiche, togliendo argomenti ai seminatori d’odio e, se accompagnato dalla concessione del diritto di voto, quanto meno alle Amministrative, per coloro che non hanno ancora diritto alla cittadinanza italiana ma risiedono onestamente in Italia da almeno due anni, rendendo l’argomento migranti meno spendibile in campagna elettorale e, di conseguenza, le campagne elettorali stesse meno incivili e cialtronesche.
Norme giuste, dunque, norme non rinviabili, princìpi che devono entrare a far parte del nostro immaginario collettivo e che purtroppo, invece, saranno ancora una volta accantonati per ragioni che prescindono dal merito della questione e fanno capo, unicamente, ai retroscena e ai non detti di questa legislatura da dimenticare.
In un mondo in guerra, in un’Europa priva d’identità e in perenne conflitto con se stessa e al cospetto di una crisi epocale che riguarda ogni singolo ambito del nostro stare insieme, percorrere un miglio lungo il difficile sentiero dei diritti avrebbe consentito non solo alla sinistra ma alla politica stessa di ritrovare un minimo di credibilità agli occhi dei cittadini. Se ne riparlerà, si spera, nella diciottesima legislatura.

Roberto Bertoni

Nato a Roma il 24 marzo 1990. Giornalista free lance, scrittore e poeta. Militante del Pd fin dalla fondazione, lo ha abbandonato nel 2014 in dissenso con la riforma costituzionale e con l'impianto complessivo del renzismo. Non se ne è mai pentito.