Codice penale: perché lo stalking non si può “riparare” col denaro

| Italia

Nella legge di riforma del codice penale approvata il 14 giugno 2017 si prevede l’introduzione di un nuovo articolo: il 162 ter, (Estinzione del reato per condotte riparatorie) che recita: nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Sembrerebbe che la possibilità di estinguere alcuni reati per via monetaria si possa applicare, leggendo l’articolo 166 ter, anche al reato di stalking.

Nella fattispecie, quel che rende molto critica l’applicazione di un tale provvedimento ai reati di persecuzione è la parola del legislatore quando afferma che (…) il risarcimento in denaro può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale (…) formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.

Le forme di violenza psicologica che alcuni soggetti perversi e manipolatori possono infliggere alle loro vittime in molti casi non contemplano la violenza fisica, le minacce di morte o quelle con armi, reati per i quali la legge suddetta NON prevede la remissione. Il soggetto perverso, e qua è la clinica a indicare la strada al legislatore, non vuole la morte della vittima. Ma ne vuole il controllo. Esercitando il quale sostiene e nutre una personalità che, clinicamente si definisce sadica. E’ possibile devastare la vita di una donna, e chi fa il mio mestiere lo sa bene, semplicemente attraverso un uso costante e reiterato di insinuazioni, di diffusione ad arte di male parole, specie quando si tratta di piccoli paesi di provincia. Seguire pedissequamente, incombere, farsi trovare presente in ogni momento della vita della vittima prescelta allo scopo di intimidirla con la sola presenza, diffondere artatamente voci, insinuazioni e illazioni sulla perseguitata attraverso un utilizzo di conoscenze e influenze personali (dal luogo di lavoro sino ai rioni nei quali spesso vittima e carnefice vivono a pochi chilometri di distanza) non contempla l’uso di coltelli o minacce, ma si dimostra spesso un comportamento tale da instillare nella prescelta uno stato perenne di angoscia e di instabilità dell’umore tale da pregiudicarne la quotidianità, la funzione materna, la possibilità di recarsi al lavoro, di dormire.

In diversi casi si tratta di coppie che si sono ufficialmente separate, nelle quali l’uomo ha più e più volte mostrato segnali manipolatori, quando non di violenza fisica vera e propria, (ma sempre intra moenia, cadendo nel art. 572 c.p.(maltrattamenti), reato procedibile d’ufficio, e che non consente di appellarsi all’art. 162ter.). Il perverso che alza le mani in casa, spesso conosce e teme la legge, e si guarda bene dall’avere atteggiamenti violenti nel consesso sociale, cioè testimoniabili e verificabili. Sono le mura che sovente proteggono la sua violenza. Una volta divisi, la donna tuttavia sa che l’ex compagno è rimasto quello che era, benché sia stato irretito nell’uso delle mani solo dalla minaccia del giudice. In molti casi le mani si fermano, per dare il via ad un’altra violenza. Extra moenia, ma non per questo meno grave.

Vederlo costantemente, in giro per la città, leggere i suoi messaggi, spesso vuoti, almeno trenta volte al giorno sul telefono, trovare la sua auto costantemente parcheggiata a fianco della propria, è la strada per un inferno che non può essere risarcito con un’offerta ‘formulata dall’imputato e non accettata dalla persona’. ‘Lui è ovunque’, mi diceva una donna vittima di un individuo persecutore, che ha cessato di essere manesco dopo che le forze dell’ordine lo hanno ammonito. In molti casi l’impunità del persecutore determina uno stato di paralisi della parola della vittima, creando una situazione di afflizione nella quale il senso di impotenza e persecuzione si ripete all’infinito, senza mai liberare chi ne è stato oggetto.

Lo stato di vittima è una gabbia spesso simbolica, una prigionia che va oltre le cicatrici sulla carne. La condizione interiore di sofferenza si protrae per tutto il tempo in cui lo stalker è contingente, libero da giudizio, con una parola che spesso ha maggior valore di quella della vittima. Ecco il punto. Il perverso, colui che come insegna Lacan ‘sa far vibrare l’angoscia dell’altro’, è spesso un uomo che ha in città una voce molto più autorevole della vittima, tale da ridurre quella di quest’ultima al lamento di una visionaria. ‘Se tutti in città dicono che costui è un professionista adamantino e rispettato, forse io ho fatto in modo di provocare le sue ire’ è l’incipit che segna un pericoloso capovolgimento di prospettiva vittima-carnefice. Quando il persecutore viene ‘interiorizzato’, lo si vive cioè come minaccia incombente sempre possibile e foriero di disgrazie, quand’anche anche non vi sia mai un passaggio all’atto violento, a tutti gli effetti la vita di una persona è invalidata.

Ora, ridurre il tutto a una quantificazione monetaria è un assurdità. Risarcire con una cifra (…) formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma non tiene conto della soggettività del trauma, non quantificabile con metodiche oggettive. La soggettività clinica di un trauma, spesso difficilmente sondabile anche da parte in un professionista della psiche, non può essere valutata da un  giudice, per quanto altamente ferrato e corretto, ma tecnicamante impossibilitato a immedesimarsi nella intimità di un donna resa ostaggio, la cui vita può essere segnata per un tempo ben maggiore rispetto al tempo della persecuzione.

Maurizio Montanari

Psicoanalista. Responsabile del centro di psicoanalisi applicata LiberaParola di Modena (www.liberaparola.eu). Membro Eurofederazione di psicoanalisi