Ieri era il 2 giugno, festa della Repubblica italiana, giornata – l’ennesima – di polemiche purtroppo poco produttive sulla legge elettorale. È stato però anche il giorno in cui il “Presidente in carica” ha ufficializzato l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, un trattato che due anni fa ha dato evidenza al fatto che una parte importante dell’umanità si è ricompattata intorno a un progetto comune: la sopravvivenza della nostra specie minacciata dai cambiamenti climatici (oltre che la salvaguardia della “civiltà”, con tutte le sue contraddizioni e varianti, come la conosciamo).
Due mesi fa mi avete chiesto di dire pubblicamente perché sarei venuta a Napoli alla prima “Assemblea dei Comitati” di Articolo Uno. Oggi ho qualcosa da aggiungere: non trovate che sarebbe il caso, in un momento così particolare, di fare una pausa nei commenti al Porcellinum e rivolgerci a tutti quelli cui i cambiamenti climatici premono? Dire loro cosa pensiamo? Ciò, visto anche che abbiamo indicato la “conversione ecologica” tra le nostre priorità.
Il climate change è un problema che non ha soluzioni semplici, perché mette tutti, in ogni momento, di fronte alla scelta se fare più fatica oggi per ottenere – forse! – un beneficio domani, ammesso e non concesso che anche tutti gli altri decidano di fare altrettanto. L’Accordo dal quale Trump vuol far uscire gli USA è importante perché, in realtà, è solo tecnicamente frutto del negoziato tra governi: se è stato possibile raggiungerlo è perché nel tempo pezzi sempre più grandi di “tribù diverse” – quella dell’industria, quella scientifica, quella diplomatica, quella ambientalista, quella degli amministratori locali, etc – si sono trovati a convergere su un obiettivo comune, sul quale ciascuno si gioca l’egemonia economica e culturale all’interno del proprio mondo di riferimento. Questi “pezzi di tribù” e i soggetti che ne fanno parte sono tantissimi, nel mondo e in Italia. Per loro la lotta ai cambiamenti climatici è quel “pezzettino di trasformazione del mondo a cui ognuno ha diritto”, quando non la sopravvivenza stessa. E votano.
Se vogliamo essere sinistra di governo, oggi parliamo a queste persone. Diciamo loro poche cose, ma chiare. Diciamo loro che:
- sappiamo che la lotta ai cambiamenti climatici è una sfida complessa e che richiede grandi capitali per essere vinta: quello umano sicuramente, ma anche quello economico-finanziario,
- siamo laici, non vogliamo “convertire” nessuno: siamo consapevoli che ci sono forze industriali variegate nel nostro Paese e sappiamo bene che nei dettagli tecnici di norme e regolazione può stare la sopravvivenza delle une anziché delle altre (e dei posti di lavoro che da esse dipendono). Diciamo loro che noi ci impegniamo fin da ora ad avere la pazienza di ascoltare e studiare molto, perché non saranno le affermazioni di principio a far diventare verde o circolare o ecologica la nostra economia, ma la revisione paziente di molte regole in funzione di pochi principi chiari;
- il nostro “Piano di manutenzione del Paese” sarà la spina dorsale a partire dalla quale costruire delle soluzioni. Sul dove trovare i soldi, Speranza ha già chiarito a Fondamenta quali sono le nostre idee. Per il resto, visto che in questo campo non c’è una ricetta buona e le altre tutte sbagliate, allargheremo il palco delle nostre iniziative tematiche per lasciare la parola anche a voci diverse in grado di portare nuovi spunti per fare meglio su questo terreno complesso.
Ci sono i grandi portatori di interessi – privati o particolari – del settore energetico che stanno cercando la loro strada, ma ci sono anche installatori di caldaie e produttori di inverter, società di ingegneria ed ESCO che lavorano per cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione, ci sono start-up innovative che cercano finanziatori e l’industria “energivora”, ci sono ambientalisti organizzati e capitali in cerca di progetti, e ci sono centinaia di ingegneri, architetti, giuristi, cui nessuno è disposto a pagare uno stipendio, tanti quanti operai del settore edile rimasti senza lavoro. Alcuni sono già organizzati e hanno un “ceto politico” a rappresentarli, ma ci sono anche tanti che una rappresentanza non ce l’hanno. In ogni caso tutti sono necessari a vincere la sfida del clima e tutti possono votare.
Oggi parliamo a loro. Facciamo capire che ci battiamo per la legge elettorale perché i capilista bloccati pongono una questione democratica esiziale e trasversale a qualunque problematica, ma che sappiamo bene che la politica e il Parlamento non sono la stessa cosa, che abbiamo chiaro che la gente come loro resterà sul pezzo nonostante Trump e che siamo consapevoli che torneremo in Parlamento solo se sapremo interloquire con chi si batte per sfide come il clima, concretamente, a prescindere da quale sarà il meccanismo di voto.