La soluzione sono i militanti. Riflessione sul futuro di Liberi e Uguali

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Dire che il futuro di Liberi e Uguali è perlomeno incerto pare quasi un eufemismo. Molti detrattori lo dicevano già in campagna elettorale: un cartello destinato a sfaldarsi come neve al sole, fatto affrettatamente, senza una visione condivisa, mettendo insieme fenotipi umani e personali difficilmente compatibili, in uno scenario politico-sociale magmatico e vischioso. A poche settimane dalle elezioni, l’assemblea nazionale di Sinistra Italiana ha deciso che SI non si scioglierà. Pesanti critiche all’esperienza di LeU sono state mosse anche da Possibile, formazione anch’essa in travaglio e alle prese con le dimissioni del suo segretario, Pippo Civati. Nell’intanto non sono pochi quelli che condividono l’analisi di Peppino Caldarola, che “per amor di Pd” chiede lo scioglimento del Pd stesso e l’apertura di una fase costituente di tutte le forze riformiste. A conclusioni simili pervengono anche i settanta giovani di Articolo UNO che, con la penna di Lillo Colaleo, chiedono su questo sito un “percorso di rifondazione che non può non coinvolgere tutti”. “Che fare?” diventa allora non solo una citazione di Lenin, ma una domanda più che legittima di fronte a un ventaglio di possibili scenari da far girare un po’ la testa.

Cerchiamo di dare una mano a questa riflessione collettiva a partire da un roccia solida su cui gettare un’ancora di senso comune. Che si voglia una costituente unitaria o meno, due temi non possono essere elusi. Il primo è quello dei diritti di utilizzo sul logo “Liberi e Uguali”, il secondo quello del come si pensa di avviare, gestire, condurre e concludere una fase costituente. Tra “nessuna costituente” e “una brutta costituente” credo infatti che anche i cuori che più fortemente anelano all’orizzonte unitario possano trovarsi d’accordo che “meglio non costruire che costruire storto”.

Affinché si possa pensare a come fare una “bella costituente” (dove bello sia sinonimo di buono e utile, così avendosi coincidenza fra estetica ed etica della politica), bisogna però capire con quale cappello (in diritto diremmo “sotto quali insegne”) fare questa costituente.

“Liberi e Uguali” è chiaramente un marchio registrato, e registrato dai segretari dei tre soggetti di coalizione (Articolo UNO, Possibile e SI) insieme al leader Pietro Grasso. Se si trattasse di un qualunque altro marchio, ci troveremmo di fronte a un ginepraio giuridico, quella che tecnicamente è chiamata “comunione di proprietà industriale”. Si tratta di un problema ben noto a tutti coloro che hanno alle spalle un matrimonio terminato con una separazione e che, di fronte a beni non divisibili (come la casa coniugale o il regalo di nozze), hanno dovuto cimentarsi col tema dello scioglimento della comunione legale o proprietà condivisa.

In teoria, ciascun comproprietario potrebbe – ove non più interessato a proseguire il percorso costituente di LeU – rinunciare alla propria quota, che andrebbe ad accrescere proporzionalmente le quote degli altri comproprietari. Di nuovo, però, chi ha esperienza di separazioni sa quanto, istintivamente, tendiamo ad attaccarci a roba snobbata poco prima (come il cagnetto di porcellana, regalo della pro-zia), giusto per la difficoltà di lasciare “a gratis” qualcosa agli altri.

Come risolvere questo primo ostacolo, senza il superamento del quale si rischia solo un nuovo stillicidio delle forze progressiste? A mio avviso la soluzione sono i militanti.

Liberi e Uguali è sì un logo, e anche un cartello elettorale. E’ stato però anche molto di più: veicolo di speranza e di mobilitazione per tantissimi cittadini e cittadine che in tasca non avevano e non hanno una tessera di partito e che, sperando in una fase costituente unitaria della Sinistra, hanno creato circoli LeU, speso le loro giornate a volantinare, a fare presidi, a leggere o scrivere in favore delle elezioni e del progetto comune.

Se guardiamo al tema della proprietà del “logo LeU”, il valore del logo è stato creato principalmente da queste persone, dai loro sforzi per far conoscere e apprezzare il progetto di LeU, talvolta anche nonostante i limiti comunicativi della dirigenza. Il valore politico di LeU è stato fatto dai singoli: da Dilva che, aiutata dalla madre novantenne, ha speso le serate a piegare volantini; da Giovanni che ha fittato la sede della vecchia sezione e dalla sua magra pensione ha preso i soldi per ridipingerla; da Carla che non ha dato due esami all’università perché troppo impegnata nel volantinaggio; da Chiara che nonostante le terapie si è fatta carico della comunicazione, e così via. LeU è fatto di questi volti, migliaia di vite e di storie, che si sono uniti a Piero, Nicola, Pippo e Roberto, a Rossella e a tutta la dirigenza.  

Che si voglia fare la costituente o che non la si voglia fare, per farne una buona bisognerà – io credo – partire da questo bagno di realtà. Se davvero si cerca (dentro o fuori LeU) un percorso estroverso e inclusivo che metta i cittadini e i militanti al centro, allora non si potrà che (come i genitori che anziché litigarsi la casa comune decidono di intestarla ai figli) riconoscere la titolarità del logo in capo ai militanti. Chiamare a raccolta tutti i circoli LeU e chiedere a coloro che ci stanno di definire insieme un regolamento per la gestione comune di un bene che, se a livello di mercato ha scarso valore (provatelo voi a vendere il logo LeU!), ha però un enorme significato come fattore di mobilitazione collettiva, come esperimento per definire meccanismi di gestione comune di un logo che è anzitutto un programma, una visione che richiede di essere gestita secondo criteri ponderati e condivisi da tutti quelli che – nei fatti – hanno dimostrato di credere in quel progetto, e che ci hanno creduto per i suoi contenuti, e non per i voti che si sarebbe riusciti a prendere.

Da questo punto di vista Grasso, fine giurista, avrà più facilità di altri a farsi garante dei militanti “senza tessera”, sensibilizzando le tre forze di coalizione alle loro responsabilità politiche verso coloro che al logo di LeU hanno dato lacrime e sangue, non avendo responsabilità né nella scelte delle liste, né nella conduzione alta della campagna elettorale.

Ripartire dal logo potrà così aiutare a rendere concreta la preparazione di una fase costituente, definendo una proprietà comune e cimentandosi insieme nella costruzione di quei meccanismi decisori partecipati ed inclusivi che garantiscano che prevalga non l’interesse particolare di una fazione, di una corrente o di un soggetto di coalizione, bensì l’interesse a che il sacrificio e il lavoro dei militanti sia riconosciuto nei fatti, dando loro la titolarità del logo, la responsabilità di gestire quanto comunemente costruito.

Una comunità politica, come ogni altra forma di comunità, si costruisce come koinonia (comunanza) che nasce dalla kenosis (abbassamento): questa una delle grandi lezioni di Franco Ferrarotti sul significato della “comunità” per Adriano Olivetti. Se le forze di coalizione sapranno accogliere questo abbassamento, se la dirigenza saprà chinarsi di fronte ai sacrifici dei militanti, e aiutarli a costruire un percorso di discussione su come gestire i cocci di LeU, avremo fatto un piccolo passo verso la maturazione di esperienze collettive costruttive e significative rispetto a quella rifondazione della Sinistra che mai avrà basi solide fino a che non si darà alla base, ai militanti, il riconoscimento fattivo (come diritti almeno sul logo, e non solo a parole o con dei bei “grazie”) di quanto hanno fatto, fanno e vogliono continuare a fare.

Gabriele D'amico

Torinese, avvocato, appassionato di diritto ed economia della cultura, dottorando fra Berlino e Gerusalemme in diritti umani e diversità culturale. Consapevolmente olivettiano, credo nella capacità umana di superare la gregarietà del sistema limbico e ragionevolmente spero in un futuro di sviluppo umano integrale.