Epifani: la sconfitta della sinistra inizia con la legge Fornero e il caos degli esodati

Politica e Primo piano

Intervista a La Repubblica

di Roberto Mania

«Il divorzio tra la sinistra e quella che un tempo si chiamava la classe operaia si è consumato sulla legge Fornero, sull’aumento dell’età, sugli esodati, sulle condizioni di vita reale dei lavoratori». Guglielmo Epifani, 68 anni, è stato leader della Cgil, poi segretario del Pd da cui si è staccato per partecipare alla fondazione di Liberi e Uguali. È stato rieletto in Parlamento grazie alla spartizione dei troppi voti presi dal M5S in Sicilia, uno degli effetti perversi del Rosatellum.

Lei è nei fatti un deputato dei Cinque Stelle?

«No, ovviamente. Ma è vero che sono stato eletto sulla base di una legge fortemente discutibile».

In questo paradosso c’è anche la frattura tra sinistra e ceti popolari che votano per la Lega e – come detto da Susanna Camusso a Repubblica – per il Movimento di Grillo. Non più i partiti della tradizione socialcomunista. Come spiega questa frattura?

«Ci sono più fattori da considerare: le trasformazioni tecnologiche, la scomposizione della “mitica” classe operaia, il processo di individualizzazione della società, l’allentamento delle reti sociali. Tutto questo ha reso più fragile, intaccandolo profondamente, il vecchio rapporto tra la classe lavoratrice in tutte le sue forme e i partiti della sinistra storica. Le ultime elezioni rappresentano lo spaccato più fedele di questa realtà con la sconfitta più netta che la sinistra abbia mai subito».

Ha perso il Pd ma anche per LeU è stato un clamoroso flop.

«Quel che colpisce è la simmetria tra il voto al Pd e quello a Leu: dove va meglio il Pd, va meglio anche Leu; dove il Pd precipita, anche Leu precipita. La sinistra prende i voti nei centri, la Lega e in Cinque Stelle nelle periferie. Vuol dire che raccogliamo il voto ideale ma non una condizione sociale».

Non crede che sarebbe il caso che la classe dirigente della sinistra, lei compreso, facesse un po’ di autocritica di fronte a questa metamorfosi anziché limitarsi a osservare il fenomeno?

«Un po’ di autocritica sarebbe insufficiente: siamo di fronte alla conclusione di un processo nel quale il senso di responsabilità ha portato la sinistra a prendere decisioni che via via hanno segnato il rapporto con i ceti popolari. Lo spartiacque, a mio avviso, è rappresentato dall’approvazione della legge Fornero, prima ancora che il Jobs Act. E lì che si consuma il divorzio. E non è un caso che sulla legge Fornero, Salvini vi abbia costruito la sua campagna elettorale mentre la questione del lavoro è rimasta ai margini delle disputa. È stato, quello della legge Fornero, un grave errore perché si è rotto lo schema che teneva insieme il senso di responsabilità, l’appartenenza ideologica e la condizione sociale proprio mentre si affievoliva il rapporto tra i ceti popolari e le reti sociali».

All’epoca lei aveva appena lasciato la segreteria della Cgil che si oppose in maniera flebile alla riforma pensionistica, ma un errore che anche lei pensa di aver commesso?

«Mi rimprovero il fatto che, come Cgil, non siamo riusciti a far passare il principio, che pure avevamo proposto a Cisl e Uil, perché si applicasse fin dall’inizio a tutti con la formula pro rata il metodo contributivo per il calcolo della pensione. Si sarebbe evitata l’accusa, fondata, di privilegiare le generazioni più anziane rispetto ai più giovani».

La formazione di LeU non è servita ad attrarre il voto dei lavoratori, si è rivelato una debole aggregazione elettorale, come andrete avanti?

«Adesso comincia il nostro nuovo percorso. Abbiamo preso un milione di voti, non è irrilevante. Daremo il nostro contributo alla rigenerazione di una sinistra ampia che recuperi i suoi valori, la sua identità, il senso dell’appartenenza».

In concreto?

«Mettere in campo un progetto per la riduzione delle disuguaglianze passando dal lavoro e soprattutto dall’occupazione dei giovani. È su questo che si giocherà il processo di rigenerazione della sinistra».

Intanto Claudio Fava, esponente di LeU in Sicilia, le ha chiesto di lasciare il seggio, che ha conquistato grazie al recupero dei voti, alla messinese Maria Flavia Timbro. Lo farà visto che negli altri collegi in cui era capolista non è stato eletto?

«Tutti quelli che con cui ho fatto questa durissima campagna elettorale e che si sono battuti per prendere più voti possibili mi chiedono di restare a rappresentare i problemi del territorio».